Kunitsu-Gami: Path of the Goddess: la recensione

C’è stato un tempo in cui anche i grandi colossi del videogioco investivano risorse, talento e coraggio nello sviluppo di nuove IP sperimentali, cercando linguaggi inediti e soluzioni ludiche originali per rinnovare l’intrattenimento digitale. Un’epoca fatta di produzioni “doppia A”, non ancora sommerse dal gigantismo dei blockbuster né delegate del tutto alla scena indipendente. Oggi, quel tessuto creativo si è in gran parte sfilacciato, sostituito dall’esplosione, tanto vivace quanto necessaria, del panorama indie. Eppure, ogni tanto, qualche storico publisher — animato da passione e spirito di esplorazione — torna a tuffarsi in queste acque poco battute. È il caso di Capcom, che con Kunitsu-Gami: Path of the Goddess riaccende i riflettori su una tradizione ormai rara: quella di proporre qualcosa di davvero nuovo, ibrido, stilisticamente unico. Un gesto che sa di nostalgia, ma anche di desiderio di futuro, con cui la casa giapponese si rituffa, curiosa e impavida, in questa acque inesplorate.

Kunitsu-Gami: Path of the Goddess è approdato sul mercato nel corso del 2024, debuttando sin dal lancio all’interno del catalogo Game Pass, in un’operazione strategica che ne ha favorito l’accessibilità ma, paradossalmente, ne ha anche diluito la percezione pubblica. Capcom ha infatti scelto di trattare il progetto come una produzione secondaria, senza le pressioni e le aspettative di un titolo tripla A, ma non per questo rinunciando a infondergli qualità e coerenza stilistica. Un progetto misurato, contenuto nei costi ma ricco di personalità, costruito per esplorare strade poco battute. Nonostante ciò, la ricezione da parte di critica e pubblico è stata più fredda del previsto: l’identità sperimentale del gioco, tra azione e strategia, ha forse disorientato parte dell’utenza, che non si è trovata davanti un prodotto facilmente etichettabile. Eppure, chi ha saputo dargli una possibilità ne ha spesso riconosciuto i meriti.

Il progetto originario resta del tutto invariato su Nintendo Switch 2: esso si presenta come un titolo dal forte impianto sperimentale, che mescola generi tradizionalmente distinti in un impasto ludico originale e coerente. Il gioco alterna sezioni action a elementi da tower defense e fasi gestionali leggere, creando un ciclo continuo tra esplorazione, preparazione e combattimento. Di giorno si organizza il villaggio, liberando gli spiriti corrotti e posizionando strategicamente i difensori; di notte si affrontano ondate di demoni, in un gameplay che richiede tanto prontezza quanto pianificazione. Questa struttura ibrida si incastona in una cornice narrativa dal sapore fortemente folkloristico: un mondo sospeso tra mito e incubo, in cui la protagonista guida i propri alleati in un percorso di purificazione e salvezza, affrontando entità ispirate allo yokai-eigakan giapponese. Il world building è denso e affascinante: un’epica scura e rituale, fatta di danze sacre, sangue e fumo, che trasporta il giocatore in un oriente arcaico, evocativo e inospitale, dove spiritualità e orrore convivono. Nonostante l’indubbio fascino e l’originalità del concept, Kunitsu-Gami mostra anche qualche limite: la ripetitività di alcune dinamiche e una curva d’apprendimento (e di apprezzamento) piuttosto lenta possono scoraggiare i meno pazienti. L’inquadratura molto distante, necessaria per la componente strategica, finisce per svelare texture povere e modelli non sempre rifiniti, segno di una produzione dai budget contenuti, nonostante la cura generale resti apprezzabile.