Covenant of Solitude arriva su Nintendo Switch come una dichiarazione d’amore ai JRPG di stampo classico. Sviluppato da Magitec e pubblicato da Kemco, il titolo nasce inizialmente su dispositivi mobile, ma nella sua trasposizione su console mantiene intatta l’identità originale, il che, come vedremo è croce e delizia di questo titolo. Non c’è nessun tentativo di mascherare le sue radici: anzi, Covenant of Solitude abbraccia con orgoglio una struttura, un’estetica e delle meccaniche che richiamano con forza l’epoca d’oro dei giochi di ruolo giapponesi a 16-bit. La storia mette al centro Fort, un giovane orfano marchiato dal sangue dei “genie”, individui dotati dell’antico potere di evocare e controllare mostri. Fin dalle prime battute la narrazione imposta un tono drammatico: l’attacco al villaggio natale di Fort da parte dell’Impero scatena il risveglio dei suoi poteri, ma anche una tragedia personale che coinvolge la sua amica Elicia. Questo evento funge da motore per l’intera vicenda, dove le dinamiche relazionali — in particolare con Legna, amico d’infanzia che assumerà un ruolo sempre più ambiguo — alimentano un racconto che, pur muovendosi su binari noti, riesce a costruire una tensione credibile e coerente. Il triangolo emotivo tra Fort, Legna ed Elicia aggiunge spessore umano, evitando che la trama resti confinata nella sola contrapposizione tra il bene e il male impersonato dall’Impero.
Sul piano ludico, Covenant of Solitude propone un’esperienza che ripercorre fedelmente i canoni più puri del JRPG: visuale dall’alto nelle sezioni esplorative, incontri casuali, dungeon labirintici costellati di nemici e tesori, boss impegnativi e villaggi in cui recuperare risorse o raccogliere informazioni. Il combattimento a turni, con visuale laterale durante gli scontri, offre un sistema solido e immediato. Tuttavia, è nella composizione del party che il gioco trova la sua peculiarità: Fort non arruola personaggi umani, ma evoca creature che combattono al suo fianco. Queste appartengono a quattro diverse tribù — Draghi, Fate, Bestie e Vampiri — e possono evolversi grazie a un sistema di cambio classe che permette loro di mantenere le abilità acquisite durante la progressione. Il risultato è un’ampia possibilità di personalizzazione strategica: si può optare per formazioni difensive, per squadre basate sulla magia o per schieramenti bilanciati in base alle necessità. La struttura del gioco segue una progressione lineare, con transizioni abbastanza fluide tra esplorazione, combattimenti e narrazione. La difficoltà, pur non essendo estrema, premia una gestione oculata del proprio gruppo, specialmente nei confronti con i boss, dove la preparazione e la scelta delle creature possono fare la differenza tra vittoria e sconfitta. È presente una componente di grinding moderata, resa meno pesante dall’uso dei Solitude Points, una valuta secondaria che consente di acquistare potenziamenti o accedere a contenuti facoltativi.
Dal punto di vista tecnico, Covenant of Solitude porta su Switch un comparto grafico dichiaratamente retro. Gli sprite in 2D sono puliti, i fondali ben disegnati e l’estetica generale richiama efficacemente il periodo d’oro del Super Nintendo e della prima PlayStation. Tuttavia, i limiti della produzione emergono in modo chiaro: il numero di animazioni è contenuto, molte creature condividono lo stesso modello differenziato solo da variazioni cromatiche, e gli effetti visivi in battaglia sono essenziali. Anche l’interfaccia, pur funzionale, tradisce la sua origine mobile in alcuni dettagli poco rifiniti. Il comparto sonoro si mantiene anch’esso su livelli contenuti. Le musiche svolgono il loro compito senza risultare fastidiose, ma faticano a restare impresse nella memoria del giocatore. Gli effetti sonori sono basilari e ripetitivi, soprattutto nelle fasi più lunghe di grinding, e l’assenza totale di doppiaggio priva alcuni momenti narrativi della carica emotiva che avrebbero potuto raggiungere. Un ulteriore elemento da considerare è la localizzazione in lingua inglese. Sebbene priva di errori gravi, la traduzione appare in diversi punti meccanica e poco naturale, soprattutto nei dialoghi più intensi, limitando in parte il coinvolgimento emotivo che la trama cerca di costruire. Alcuni menu risultano inoltre poco intuitivi nelle prime ore di gioco, anche a causa di scelte terminologiche non sempre fluide.
Nonostante questi difetti, Covenant of Solitude riesce a mantenere il giocatore coinvolto grazie a una storia che, pur basata su archetipi ben rodati, viene gestita con buon ritmo e senza inutili dilatazioni. I conflitti interpersonali e i colpi di scena, sebbene prevedibili per chi conosce il genere, riescono comunque a conservare una certa efficacia narrativa fino alla conclusione. Il gioco gira su Switch senza problemi di stabilità: caricamenti rapidi, nessun rallentamento significativo e una fluidità generale che permette di godersi appieno l’esperienza senza distrazioni tecniche. Tuttavia, la natura del porting non nasconde mai davvero i confini di un progetto pensato originariamente per un hardware molto più limitato, e alcuni elementi visivi e di interfaccia avrebbero potuto essere meglio adattati per sfruttare il salto di piattaforma. In definitiva, Covenant of Solitude si presenta come un tributo onesto e rispettoso ai JRPG di una volta. Non tenta di innovare, non offre sorprese impreviste, ma propone un’esperienza solida per chi ancora trova piacere nelle formule classiche. I suoi punti di forza risiedono in un sistema di evocazione ben realizzato, una struttura narrativa efficace e una gestione strategica del party che sa premiare la pianificazione. Di contro, rimangono evidenti i limiti tecnici, una localizzazione migliorabile, un comparto audio senza spunti memorabili e una componente estetica che, sebbene curata, si arena presto in una ripetitività visiva figlia delle sue origini.
La recensione
Un buon JRPG old-school che farà la felicità dei nostalgici, consapevoli però di accettare anche qualche compromesso tecnico e stilistico pur di ritrovare un certo sapore perduto del genere.