Il nome del team di sviluppo The Gang potrebbe suonare nuovo a chi bazzica perlopiù il mondo dei tripla A, ma nel panorama dei giochi online e delle esperienze digitali interattive su Roblox è tutto fuorché un esordiente. Questo studio svedese ha costruito la propria reputazione sviluppando attivazioni digitali per colossi come Amazon, Spotify e Warner Bros., ma è con Strongman Simulator che ha davvero lasciato il segno presso un pubblico più ampio. Con Out of Sight, però, The Gang prova un salto di qualità: abbandona i territori del branded content per tuffarsi nella creazione di una IP originale, pubblicata da Starbreeze — quelli di Payday — con l’ambizione di dire qualcosa nel mondo dei puzzle horror narrativi. E la cosa interessante è che, in larga parte, ci riesce. Out of Sight è un’avventura puzzle-horror single-player in cui ci mettiamo nei panni, o meglio, negli occhi della piccola Sophie, una bambina cieca intrappolata in una misteriosa e inquietante magione. La sua unica connessione con il mondo che la circonda è il suo fidato orsacchiotto Teddy, attraverso il quale può “vedere” ciò che la circonda. È proprio questo il cuore pulsante del gioco: un’inedita meccanica in seconda persona, che ci costringe a osservare e agire nel mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. L’idea è affascinante e piuttosto innovativa in un panorama dove prima e terza persona sono le lenti dominanti. Questo cambio di prospettiva non è solo un espediente stilistico: plasma ogni singolo aspetto del gameplay e impone al giocatore una riflessione continua su ciò che vede, su come lo vede e su come può usarlo per aiutare Sophie a muoversi, risolvere enigmi e — soprattutto — sopravvivere.
La narrativa si dipana lentamente, dosando misteri e atmosfere più che dettagli o spiegazioni. La storia di Out of Sight si gusta un tassello alla volta, attraverso interazioni ambientali, piccoli frammenti di dialogo, e soprattutto attraverso l’atmosfera soffusa e inquieta che permea ogni stanza della villa. Gran parte del piacere sta proprio nello scoprire i segreti del luogo, le sue regole invisibili e le forze oscure che lo abitano. Come vedremo ci sono nemici ma non ci sono combattimenti puramente intesi. In termini di genere, siamo di fronte a un puzzle game con forti tinte horror, ma non si tratta di un survival in senso classico. Non si spara, non si combatte, non ci sono quick time event. La tensione nasce dalla vulnerabilità di Sophie, dall’oscurità che la avvolge, dal suono di passi lontani o di meccanismi che si attivano dove non dovrebbero. Sono meccaniche narrative e di gameplay che abbiamo imparato ad apprezzare nei vari Little Nightmare, Limbo, Bramble e molti altri. Il gameplay ruota attorno alla risoluzione di enigmi ambientali basati su logica, osservazione e — ovviamente — prospettiva. L’intuizione di usare la visuale del peluche per esplorare, attivare leve, aprire passaggi e guidare Sophie attraverso la casa è semplice sulla carta, ma ricca di potenziale creativo. E The Gang lo sfrutta bene, almeno nei primi due terzi dell’esperienza. I puzzle sono ben congegnati, mai troppo criptici ma nemmeno banali, e l’apprendimento delle meccaniche avviene in modo naturale, senza bisogno di tutorial invasivi.
Visivamente, Out of Sight lavora con intelligenza per creare un’estetica solida. L’ambientazione della villa è costruita con cura, alternando stanze lugubri, soffitte polverose e cunicoli inquietanti. La palette è dominata da toni freddi e ombre profonde, con un buon uso della luce per guidare lo sguardo del giocatore e creare tensione. I modelli dei personaggi sono semplici ma espressivi, soprattutto Sophie e Teddy, che riescono a comunicare un forte legame emotivo con poche animazioni ben scelte. La versione Switch regge tutto sommato bene, pur con qualche lieve rallentamento nelle transizioni più complesse. La colonna sonora accompagna in modo discreto ma efficace, puntando più sull’atmosfera che sul tema portante. I suoni ambientali — cigolii, scricchiolii, voci lontane — sono forse i veri protagonisti audio del gioco. Il game design merita una menzione particolare, dato che costruire un intero sistema basato sulla “seconda persona” — ossia vedere attraverso un altro personaggio — non è impresa da poco. Non solo a livello tecnico, ma anche per il rischio che comporta in termini di chiarezza e leggibilità per il giocatore. Eppure, Out of Sight riesce a essere intuitivo, grazie a un’interfaccia pulita, a scelte di level design accorte e a una buona progressione delle difficoltà. A onor del vero, strada facendo il gioco perde un po’ di slancio, e alcuni enigmi risultano più ripetitivi o meno ispirati, ma l’esperienza complessiva resta compatta e soddisfacente, con una durata contenuta (intorno alle 4-6 ore) che evita l’effetto diluizione.
La recensione
In definitiva, Out of Sight è un piccolo gioco coraggioso, che osa dove molti si limitano a seguire il solco. Non è perfetto, ma è sincero. E quando un puzzle horror riesce a essere allo stesso tempo inquietante, tenero e originale, è giusto premiarlo. L'atmosfera ed il concept sono quelli giusti, peccato per qualche imprecisione e per un minimo di ripetitività, che si lascia comunque perdonare