Shadow Labyrinth è, in un certo senso, un esperimento metanarrativo: più che un semplice gioco, rappresenta una riflessione sul retaggio storico di Bandai Namco, un viaggio onirico e oscuro attraverso i resti digitali del suo stesso passato. Fin dai primi minuti, è evidente come l’intero world building si fondi sull’iconografia arcade dell’azienda: ambientazioni digitali che sembrano glitchate dai cabinati degli anni ’80, intarsi grafici che richiamano i circuiti delle board arcade, musiche ambient rielaborate a partire da jingle storici come quelli di Galaga o Xevious, e addirittura frammenti di dialogo che citano personaggi come Dig Dug, Mappy o i ninja di Rolling Thunder. Non si tratta mai di citazionismo sterile: l’intera cornice narrativa ruota attorno a un universo virtuale disgregato, dove gli “archivi della memoria videoludica” stanno collassando, trascinando con sé tutto ciò che ha fatto parte della gloria di Namco. In questo contesto, Pac-Man diventa una sorta di archetipo primigenio, l’origine e il punto finale del racconto. La trama si sviluppa con toni dark e surreali, ricca di colpi di scena e inserti criptici, spingendo il giocatore a voler scoprire cosa si celi dietro al “labirinto dell’ombra”. Tuttavia, l’esperienza ludica fatica a stare al passo con questa ambizione: le meccaniche si rivelano presto ripetitive, l’interazione blanda e la sfida limitata a schemi troppo prevedibili, senza la profondità necessaria per rendere davvero memorabile il gameplay. La forza evocativa del titolo, insomma, supera di gran lunga la sua consistenza ludica.
Dal punto di vista tecnico, Shadow Labyrinth su Nintendo Switch 2 non mostra miglioramenti sostanziali rispetto alla versione originaria per Switch. L’upgrade gratuito è certamente una scelta apprezzabile, ma giustifica solo in parte uno scarto visivo e prestazionale minimo. I caricamenti risultano leggermente più rapidi, ma la semplicità strutturale dell’intero impianto resta evidente. I modelli poligonali di protagonisti e antagonisti si difendono discretamente, offrendo una buona definizione e un design coerente con l’estetica generale, ma i fondali appaiono invece più piatti, con asset spesso riutilizzati e di qualità inferiore. Il frame rate, seppur generalmente fluido, presenta cali percepibili in ogni passaggio tra schermate o livelli, spezzando l’immersione. Resta comunque un prodotto pienamente fruibile in tutte le modalità offerte dalla console – docked, tabletop e portatile – anche se non sfrutta a fondo nessuna delle peculiarità hardware del nuovo sistema.
La recensione
Shadow Labyrinth è un esperimento curioso che cerca di attualizzare l’eredità arcade di Namco, intrecciando riferimenti iconici e suggestioni narrative dark. Nonostante una giocabilità non sempre ispirata e un comparto tecnico modesto, resta un titolo affascinante per chi conosce e ama il retaggio storico del brand. La sua natura ibrida si sposa bene con l’ecosistema Switch, anche se il potenziale resta in parte inespresso. Un omaggio interessante, più per atmosfera e concetto che per profondità o solidità ludica.