Switch 2: Dear me, I was…: la recensione

La poesia di una vita intera

In un panorama sempre più stratificato e variegato come quello videoludico contemporaneo, c’è ancora spazio per progetti piccoli, silenziosi e profondamente personali. Dear me, I was… nasce da questa esigenza: un’operazione sperimentale firmata Arc System Works, ma lontana anni luce dalle consuete produzioni a base di combo e tornei. Una breve avventura narrativa di appena un’ora, priva di testi e dialoghi, completamente guidata dalle immagini e dalla sensibilità registica del team. Un’opera che si pone più come racconto da contemplare che come gioco da superare, pensata per toccare corde intime e universali attraverso la semplicità del gesto, l’eleganza dello sguardo e una direzione artistica che mescola acquerello e rotoscopia in modo inedito. Dear me, I was… non cerca il consenso del grande pubblico: si rivolge a chi ha voglia di ascoltare, senza rumore, un piccolo frammento di vita quotidiana. E su Switch 2 trova la casa ideale.

L’opera di Arc System Work racconta senza parole, ma con sorprendente chiarezza, un piccolo frammento di quotidianità:i diversi momenti cruciali della vita di una donna, in cui ogni angolo, ogni volto, ogni scorcio diventa occasione per una riflessione, un ricordo, un rimpianto. Il gioco non forza la mano, non guida con didascalie né impone interpretazioni: accompagna. E lo fa immergendo il fruitore in un flusso visivo e narrativo che mescola presente e passato, assenze e presenze, memoria e distanza, con uno stile che sfuma i contorni tra esperienza personale e universale. Non c’è una storia da “capire” in senso tradizionale, ma un’atmosfera da vivere, una sensibilità da accogliere. L’effetto è quello di una breve lettera mai spedita, scritta per riconciliarsi con sé stessi più che per comunicare con altri.

La direzione artistica di Dear me, I was… è il cuore pulsante dell’esperienza. Arc System Works, nota per le sue produzioni esplosive e dinamiche in ambito fighting game, qui sceglie la via opposta: uno stile essenziale, bidimensionale, fatto di pennellate sognanti, palette desaturate e silhouette abbozzate, che evocano più che rappresentare. Le animazioni sono ridotte all’osso, ma ogni passo, ogni cambio di inquadratura è studiato con cura per trasmettere introspezione e delicatezza. Il passaggio dal giorno alla sera, l’illuminazione soffusa, i contrasti cromatici tra memoria e realtà: tutto concorre a costruire un linguaggio visivo coerente, poetico, che richiama certo minimalismo illustrativo giapponese contemporaneo. Non è un comparto grafico che “impressiona” in senso tecnico, ma che coinvolge emotivamente proprio per la sua capacità di raccontare senza dire. Le ambientazioni, pur limitate, risultano evocative, e ogni piccolo dettaglio visivo — un lampione, una finestra illuminata, la pioggia che accarezza il marciapiede — sembra avere un peso simbolico. Un diario visivo, più che un ambiente di gioco.

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Chi cerca in Dear me, I was… un’esperienza ludica strutturata farebbe bene a ricalibrare le aspettative: il gioco, se così si può ancora definire, è poco più di un filmato interattivo. L’interazione è minima, quasi simbolica: muovere lentamente il personaggio lungo binari precostituiti, scegliere direzioni in rare biforcazioni, compiere un gesto o attivare un ricordo con la pressione di un tasto. Non c’è alcuna sfida, nessun ostacolo, nessun sistema da padroneggiare. Il cuore dell’esperienza sta altrove — nella narrazione silenziosa, nell’atmosfera, nell’introspezione visiva e sonora. L’interattività serve solo ad accentuare il senso di partecipazione emotiva, senza mai deviare dall’intento autoriale. In questo senso, Dear me, I was… si avvicina più a un breve cortometraggio animato che sfrutta i mezzi del videogioco per raccontare, piuttosto che per far giocare. È una scelta consapevole e coerente, ma che potrebbe lasciare spiazzati i giocatori più legati a una dimensione interattiva tradizionale. Qui non si agisce: si osserva, si ascolta, si sente. E si riflette.

Dal punto di vista visivo, Dear me, I was… colpisce sin dal primo istante grazie a una direzione artistica fuori dal comune, interamente costruita attorno alla tecnica della rotoscopia. È questa la vera chiave di volta del progetto: ogni movimento, ogni espressione del personaggio protagonista viene restituita con una fluidità e una delicatezza che solo l’animazione tracciata su riprese reali può offrire. Il risultato è un’estetica sospesa tra sogno e memoria, che restituisce al tempo stesso realismo emotivo e distacco onirico. Su Nintendo Switch 2 l’effetto è reso in modo impeccabile: nonostante la semplicità dell’impianto tecnico (che non necessita di grandi risorse computazionali), tutto appare nitido, pulito, perfettamente leggibile sia in modalità docked che portatile. Non si segnalano problemi di fluidità, né cali nei caricamenti — anche perché, di fatto, non ci sono transizioni vere e proprie. Il mondo è uno spazio lineare, contemplativo, e proprio grazie alla rotoscopia diventa un flusso di coscienza animato, poetico, unico nel panorama del videogioco contemporaneo.

La recensione

6.5 Il voto

Dear me, I was… è più un’esperienza che un videogioco in senso stretto: un frammento emotivo, poetico e personale, che si affida a immagini, animazione e suggestioni più che a dinamiche ludiche. Il risultato è affascinante, toccante, stilisticamente pregevole, ma anche estremamente di nicchia. Chi cerca interazione, sfida o progressione resterà deluso. Ma per chi è disposto a lasciarsi trasportare da un racconto breve e intimista, sarà difficile dimenticare questo piccolo, coraggioso esperimento firmato Arc System Works.

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