Arrivato letteralmente in zona Cesarini, quando il 2025 sta ormai scivolando verso i titoli di coda, Inazuma Eleven: Victory Road si presenta come uno di quei titoli che sembrano pensati per occupare con decisione lo spazio simbolico del “gioco-regalo” natalizio. Un ritorno atteso, evocato per anni, rimandato più volte e quasi mitizzato da una lunga fase di sviluppo che ha trasformato questo nuovo capitolo in qualcosa di più di un semplice sequel. La timeline di Inazuma Eleven si era infatti interrotta in modo sostanziale ai tempi di Inazuma Eleven GO Galaxy, lasciando un vuoto durato oltre un decennio, durante il quale il nome della serie è rimasto vivo soprattutto nel ricordo dei fan, tra anime, merchandising e nostalgia per un’epoca in cui il calcio RPG di Level-5 sembrava in grado di parlare a tutti. Victory Road arriva quindi con il peso di questa assenza sulle spalle, collocandosi come il primo vero capitolo “nuovo” della saga principale dopo anni di silenzio operativo, e lo fa scegliendo consapevolmente di non limitarsi a un’operazione conservativa. Alla guida c’è ancora Level-5, studio giapponese che ha costruito la propria identità nel tempo, su sistemi di gioco accessibili ma stratificati e una narrazione sempre orientata al pubblico giovane senza mai rinunciare a una certa ambizione strutturale. Dopo un periodo complesso, segnato da ristrutturazioni interne, cambi di rotta e progetti cancellati o ridimensionati, Victory Road rappresenta anche una sorta di dichiarazione d’intenti per lo studio stesso: dimostrare di saper riportare in campo uno dei suoi marchi più iconici adattandolo al presente, senza tradirne lo spirito originario. In questo senso, l’uscita a fine 2025 non appare casuale, ma quasi simbolica: un ritorno all’ultimo minuto, con il cronometro che segna recupero pieno, per una serie che ha sempre fatto dell’epica sportiva e dei ribaltamenti improvvisi la propria cifra narrativa.

Sul piano narrativo Inazuma Eleven: Victory Road sceglie una strada piuttosto matura per introdurre il nuovo corso della serie, affidandosi a un protagonista che, fin dall’inizio, si colloca in una posizione atipica rispetto alla tradizione del brand. Destin Billows (Unmei Sasanami se lo giocate in lingua originale), questo il nome del personaggio principale, è infatti un ragazzo costretto a rinunciare al sogno di scendere in campo a causa di una grave patologia cardiaca, un limite fisico che diventa immediatamente il fulcro emotivo dell’intera esperienza. Impossibilitato a giocare, Dest trova comunque il modo di restare legato al calcio assumendo il ruolo di allenatore di una squadra scolastica destinata, come spesso accade nella saga, a partire dal gradino più basso della competizione. È una scelta narrativa forte, che giustifica inoltre una certa onniscienza altrimenti piuttosto irritante del main character. Il parallelismo con figure iconiche dell’immaginario calcistico giapponese è inevitabile: il riferimento a Julian Ross di Captain Tsubasa viene quasi naturale, non tanto per un omaggio diretto quanto per la condivisione di un tema comune, quello del talento frenato dal destino e trasformato in determinazione. In Victory Road questa condizione non è mai trattata come semplice espediente drammatico, ma diventa la base su cui costruire un racconto di crescita collettiva, dove l’assenza fisica del protagonista dal campo rafforza il suo ruolo strategico e umano all’interno della squadra. La trama alterna così i consueti toni epici e sopra le righe tipici di Inazuma Eleven a momenti più riflessivi, in cui il calcio smette di essere solo spettacolo e diventa strumento di riscatto, affermazione personale e accettazione dei propri limiti. Il calcio di Inazuma Eleven: Victory Road resta dichiaratamente filtrato da una sensibilità tutta giapponese, molto lontana da una rappresentazione realistica dello sport. Per chi è cresciuto in un Paese in cui il calcio è quotidianità, dibattito e ossessione collettiva, certi dialoghi o specifici riferimenti possono suonare inevitabilmente ingenui, quasi naif, ma è una leggerezza consapevole, che non stona e anzi contribuisce a mantenere quel tono sincero e appassionato che da sempre distingue la serie.

Dal punto di vista ludico Inazuma Eleven: Victory Road ribadisce con decisione la propria natura ibrida, alternando fasi esplorative e dialogate di stampo fortemente RPG a momenti più strutturati e competitivi legati al calcio vero e proprio. Le prime ore scorrono infatti lontano dal campo, tra ambientazioni scolastiche da esplorare, interazioni con comprimari e una serie di “dibattiti” che funzionano come veri e propri combattimenti a turni (imbastiti sull’ossatura del classico sasso/forbice/carta), in cui parole, argomentazioni e scelte di risposta sostituiscono tiri e contrasti. È una declinazione molto Level-5 del concetto di gioco di ruolo, che richiama da vicino la tradizione della serie e ne rafforza l’identità, ma che richiede al giocatore una buona dose di pazienza iniziale. Per poter finalmente scendere in campo e iniziare a giocare a calcio, infatti, bisogna sudare le proverbiali sette camicie: le prime partite arrivano solo attorno al terzo o quarto capitolo, dopo almeno sei ore di gioco, alla fine di una lunga (e un po’ prolissa) fase introduttiva. È importante però non fermarsi a questa prima impressione, perché una volta superata la lunga fase introduttiva il gioco ingrana con decisione, restituendo partite sorprendentemente avvincenti e ben strutturate. Gli allenamenti assumono un ruolo centrale nella crescita della squadra, non solo come semplice potenziamento statistico ma come momento di definizione dell’identità dei singoli giocatori, tra nuove tecniche, ruoli da affinare e sinergie da costruire.












