House of the Dead 2: Remake: la recensione

Portafoglio pieno di monetine e si va in sala giochi! E' arrivato House of the Dead 2!

Prima ancora che esistessero trofei e achievement, c’erano i gettoni, le 500 lire, i cabinati e giochi come The House of the Dead 2, pronti a trasformare un pomeriggio in una sfida di riflessi e resistenza. Per chi, come il sottoscritto, ha vissuto l’adolescenza a cavallo tra gli anni ’90, quel cabinato rappresentava un richiamo irresistibile: due pistole in plastica, lo schermo lampeggiante, e un’orda di non-morti da abbattere con scariche di piombo virtuale. Ogni partita era una sfida contro il tempo, contro zombie/mutanti/demoni e, soprattutto, contro il portafoglio: bastava poco per finirsi i gettoni, ma ne valeva sempre la pena. The House of the Dead 2 era puro intrattenimento arcade, veloce, grezzo, ma assolutamente memorabile. Oggi, con questo remake per Nintendo Switch, quella stessa esperienza prova a rinascere in formato domestico, senza bisogno di gettoni e con qualche adattamento tecnico necessario per portare le pistole del passato sugli schermi di oggi. Nato nel 1998 come seguito del primo capitolo sviluppato da SEGA, The House of the Dead 2 è uno dei rail shooter più celebri e apprezzati della storia videoludica. Forte di un’ambientazione horror dal gusto B-movie e di un gameplay semplice ma frenetico, il gioco consolidò la fama del franchise nelle sale giochi di tutto il mondo. La serie House of the Dead si è sempre distinta per la sua anima tamarra e sopra le righe, diventando col tempo un vero cult. Oltre ai seguiti, agli spin-off e alle conversioni su console domestiche, il brand è stato recentemente rilanciato con remake in alta definizione, a partire dal primo capitolo, e ora con questa nuova edizione del secondo episodio, curata da MegaPixel Studio sotto licenza ufficiale SEGA.

Per i pochi che non sapessero di cosa stiamo parlando, siamo nel regno dei rail shooter. Ossia di quei titoli in cui il giocatore non ha controllo diretto sui movimenti del personaggio, ma si limita a puntare e sparare sugli avversari mentre il gioco “trascina” la visuale lungo percorsi prestabiliti. È un’esperienza tutta incentrata sui riflessi, sulla mira e sulla rapidità di esecuzione, senza troppi fronzoli narrativi o libertà esplorative. Oggi, con il remake di The House of the Dead 2, assistiamo a un ritorno alle origini, ma anche a una sfida: riportare in auge un tipo di gameplay figlio di un’epoca e di una fruizione molto specifica. È un’operazione che si rivolge chiaramente ai nostalgici, ma che può affascinare anche i giocatori più giovani, magari incuriositi da un approccio al videogioco diverso. Portare in vita un classico come The House of the Dead 2 non è impresa da poco. Ci vuole un equilibrio delicato tra fedeltà e modernizzazione, tra rispetto per la materia originale e la necessità di renderla appetibile in un contesto tecnico e ludico completamente diverso. Già autori del remake del primo House of the Dead, gli sviluppatori di MegaPixel hanno affrontato il secondo capitolo con la stessa filosofia: riproporre il gameplay originale senza stravolgimenti, ma con un completo rifacimento grafico e sonoro che possa reggere il confronto con gli standard visivi attuali. Non si tratta di un semplice porting o di una rimasterizzazione superficiale: ogni modello poligonale, ogni texture, ogni effetto di luce è stato ricreato da zero, mantenendo però quell’estetica volutamente sopra le righe e da B-Movie che ha sempre caratterizzato la serie. Chiunque abbia giocato all’originale The House of the Dead 2 sa bene che il fascino del gioco non risiedeva certo nella sua fedeltà grafica. Anzi, quell’estetica da film horror di serie B, con modelli poligonali spigolosi, animazioni esagerate e una palette cromatica acida, era parte integrante della sua identità. Le tonanti voci fuori campo, le morti splatter, il character design volutamente eccessivo e iperbolico, tutto faceva parte di un’alchimia perfetta. Il remake firmato MegaPixel Studio mantiene questo spirito, ma lo adatta agli standard visivi moderni, riuscendo nell’impresa di far sembrare volutamente kitsch un prodotto tecnicamente aggiornato.

I modelli dei nemici, ora più dettagliati e grotteschi, conservano quel look volutamente “plasticoso” che li rende immediatamente riconoscibili, mentre gli ambienti sono stati ridisegnati per esaltare luci e ombre, amplificando l’atmosfera cupa e surreale del titolo. Su Nintendo Switch, il risultato visivo è più che dignitoso. In modalità docked il gioco regge bene, con texture pulite e un framerate stabile, anche se lontano dalle performance di piattaforme più potenti. In modalità portatile, invece, la resa grafica perde un po’ di definizione, ma resta comunque godibile, soprattutto considerato il tipo di esperienza arcade veloce che il gioco propone. Le animazioni, volutamente “legnose” per rimanere fedeli all’originale, potrebbero far storcere il naso a chi cerca una fluidità cinematografica, ma fanno parte del pacchetto nostalgia.  Un plauso va anche al comparto sonoro: oltre alla colonna sonora rimasterizzata, il gioco offre la possibilità di ascoltare anche la soundtrack originale, per un tuffo nel passato che completa perfettamente il lavoro di restauro visivo.

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