Lovecraft e il terrore nei videogiochi

Scopri l’influenza del maestro dell’orrore su titoli cult: da Eternal Darkness a Resident Evil.

La paura è uno degli impulsi più antichi e potenti dell’esperienza umana, e forse proprio per questo continua a esercitare un fascino inesauribile anche nei territori dell’immaginazione. Nel panorama videoludico, questo sentimento ha trovato un terreno particolarmente fertile, dando vita a uno dei generi più longevi e influenti: il survival horror. A partire dagli anni ’90, questo filone si è imposto come colonna portante dell’industria, grazie alla sua capacità di combinare narrazione, esplorazione e tensione psicologica in una forma interattiva. Titoli come Alone in the Dark (1992), antesignano del genere, Resident Evil (1996) e Silent Hill (1999) hanno tracciato un solco profondo nella memoria dei videogiocatori, alimentando l’ansia attraverso inquadrature claustrofobiche, risorse limitate e nemici implacabili. Ma accanto ai blockbuster, si sono affermati anche giochi più sperimentali come Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth (2005), Eternal Darkness (2002), Amnesia: The Dark Descent (2010) e Bloodborne (2015), in cui la paura si declina in forme più sottili, cosmiche o psicotiche, spesso attingendo a un immaginario letterario ben preciso: quello di H.P. Lovecraft.

Figura enigmatica e schiva, H.P. Lovecraft è considerato uno dei padri fondatori della narrativa dell’orrore moderno. Nato a Providence nel 1890, ha costruito un universo letterario ossessivo e coerente, popolato da divinità indicibili, conoscenze proibite e abissi cosmici in cui l’umanità è poco più che un’inconsapevole comparsa. I cosiddetti Miti di Cthulhu, sviluppati attraverso racconti come The Call of Cthulhu, The Shadow Over Innsmouth e At the Mountains of Madness, non costituiscono solo un canone testuale, ma una mitologia alternativa in grado di permeare l’immaginario collettivo. Il terrore in Lovecraft non nasce dal sangue o dalla violenza, ma dall’incontro con l’inconoscibile: un orrore che sgretola ogni certezza razionale. Questa visione del mondo continua a ispirare intere generazioni di autori, registi, illustratori e game designer, trovando nel videogioco un linguaggio naturale per rappresentare l’indicibile. A prescindere dal medium scelto, la sua eredità rimane un pilastro imprescindibile per chiunque voglia esplorare i territori oscuri del fantastico.

Il lascito di H.P. Lovecraft si è rivelato particolarmente fertile anche nel panorama videoludico, dove decine di titoli hanno attinto alla sua mitologia per generare esperienze di terrore e spaesamento. Dai classici fino a produzioni più recenti, la cosmogonia lovecraftiana ha trovato nel medium interattivo una nuova e potente forma di espressione. Come si analizza nel volume “Il metodo descrittivo di H.P. Lovecraft” — da cui questo articolo prende spunto — le opere videoludiche ispirate allo scrittore di Providence scelgono di percorrere strade molto diverse: alcune cercano la riproduzione visiva diretta dei mostri cosmici, altre puntano a suggestioni atmosferiche, altre ancora tentano una narrazione filtrata dalla follia del protagonista. Tuttavia, emerge con chiarezza come i giochi che riescono maggiormente a evocare l’orrore lovecraftiano siano quelli che sanno sottrarre piuttosto che mostrare: esperienze in cui l’ignoto resta tale, e il “non detto” diventa chiave narrativa, proprio come accade nei racconti originali. È quando il videogioco rinuncia alla spiegazione e abbraccia l’ambiguità che Lovecraft torna davvero a vivere, come nella deformazione percettiva di Eternal Darkness, piuttosto che nelle telecamere fisse dei primi Resident Evil.

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