Xbox Series S: Mafia: the old country: la recensione

Dalla Sicilia del primo Novecento prende vita il capitolo più autentico e viscerale della saga: Mafia torna alle origini, tra polvere, onore e sangue.

THE OUTER WORLD – Benvenuti a un nuovo appuntamento dedicato alla nostra rubrica intitolata “The Outer World”, una finestra nuova per Switchitalia, con vista sui mondi videoludici che si espandono fuori dalle consuete e familiari mura dell’universo Nintendo. Se volete più dettagli sulla nostra iniziativa, vi rimandiamo all’articolo introduttivo con cui ve la presentiamo, sospinti dalla curiosità esplorativa tipica degli amanti dei videogiochi. Oggi ci spostiamo nella Sicilia dei primi del ‘900 per assistere alla nascita dell’impero malavitoso che ha segnato un’epoca.

Quando si parla di mafia, l’immaginario collettivo torna inevitabilmente a quella scena de Il Padrino, nell’interpretazione iconica di Marlon Brando nei panni di Don Vito Corleone: una mano che stringe il sigaro, l’altra che dispensa ordini o magnanime concessioni tra le ombre di una stanza silenziosa. La mafia, per decenni, è stata raccontata attraverso il filtro dorato dell’epopea cinematografica americana, che ha saputo trasformare la brutalità del crimine organizzato in una leggenda intrisa di potere, violenza, rispetto e tradimento. Ma al di là delle luci soffuse degli uffici newyorkesi e dei brindisi nei saloni di lusso, c’è una storia più antica, più aspra, scolpita nella polvere delle strade siciliane e nel sudore di chi lottava per sopravvivere. Beninteso: non siamo qui per glorificare la mafia o indulgere in romanticismi da cinema, ma per raccontare un videogioco che sceglie di affrontare questo tema con la serietà e la profondità che merita, restituendo alla narrazione criminale quella dimensione umana, storica e culturale che spesso viene sacrificata sull’altare dello spettacolo. “Mafia: The Old Country” nasce proprio da questa esigenza: abbandonare il mito per riscoprire le radici, quelle vere, quelle della “terra madre” dove la mafia non era glamour, ma necessità, brutalità, lotta di classe. È un ritorno a casa, un viaggio a ritroso nella genealogia della criminalità organizzata, che promette di essere il capitolo più intimo, autentico e viscerale dell’intera saga. Il gioco si propone come un’opera che possa finalmente restituire complessità e dignità a una parte della storia italiana spesso banalizzata. Il ritorno alle origini della serie non è quindi solo un’operazione nostalgica, ma una dichiarazione di intenti: riportare il brand “Mafia” a essere ciò che è sempre stato nelle sue migliori incarnazioni, un racconto umano, intimo, dove il crimine non è un pretesto per l’azione, ma il catalizzatore di drammi personali.

Il brand “Mafia” ha sempre avuto una relazione complessa con il concetto di identità. Dal titolo del 2002, che fece scuola per la sua narrazione cinematografica, fino alla parabola discendente (seppur ambiziosa) di “Mafia III”, la serie ha oscillato tra il desiderio di raccontare storie di uomini e l’ambizione di competere con i grandi open world sandbox, dai vari GTA a scendere. “The Old Country”, invece, sceglie la via del ritorno alle origini, non solo dal punto di vista cronologico, ma anche ideologico. Ambientato agli inizi del Novecento, rappresenta un prequel che getta luce su come e perché il crimine organizzato siciliano sia diventato quell’entità che abbiamo conosciuto. Non ci sono metropoli da esplorare, né imperi criminali da costruire: c’è la storia di Enzo Favara, e attraverso di lui, il racconto di una Sicilia dimenticata nella polvere e nelle terre arse dal sole. A rendere possibile questa immersione filologica è stata la collaborazione con Stormind Games, uno studio siciliano che ha saputo trasformare la propria terra in arte videoludica. La partnership tra Hangar 13 e Stormind non si è limitata alla mera assistenza tecnica, ma ha rappresentato un vero e proprio scambio culturale, volto a evitare le solite caricature folkloristiche, cadendo nel mero clichè, rischio che in questi casi è sempre dietro l’angolo. Gli sviluppatori di Stormind hanno condotto un lavoro di ricerca sul campo meticoloso, forti del loro giocare in casa: sopralluoghi in antichi borghi siciliani, interviste con gli anziani del luogo per raccogliere aneddoti, consultazione di archivi fotografici e documentali per garantire che ogni dettaglio, dai panni stesi al sole alle botteghe artigiane, trasudasse autenticità. Il risultato è un’ambientazione che vive e respira al di fuori dello schermo, un microcosmo sociale e culturale fedele alla realtà storica.

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Particolare attenzione è stata dedicata alla lingua. Il gioco è interamente doppiato in siciliano, scelta coraggiosa e non priva di rischi, ma fondamentale per mantenere l’integrità culturale del progetto. I dialoghi, lungi dall’essere soltanto un esercizio di colore locale, diventano parte integrante dell’atmosfera, restituendo la musicalità di un dialetto che non è solo suono, ma identità. Anche dal punto di vista della narrativa, Stormind ha lavorato a stretto contatto con Hangar 13 per evitare la semplificazione del fenomeno mafioso in una dicotomia buoni-cattivi, preferendo un approccio che esplora le dinamiche sociali e psicologiche che portano alla nascita di certi codici d’onore e alla degenerazione della violenza come strumento di potere. Perlomeno per noi italiani, giocare il titolo in lingua siciliana, al limite sottotitolato in italiano, è praticamente d’obbligo per addentrarsi al meglio nel mood del gioco. La storia segue il giovane Enzo Favara, la cui giovinezza trascorre tra le mortali viscere delle miniere di zolfo. Una serie di sfortunati eventi lo conduce a scontrarsi con il boss locale e a trovare rifugio a San Celeste, cittadina immaginaria ma profondamente radicata nella tradizione siciliana, sotto l’ala protettrice di Don Torrisi. Enzo, attraverso il suo coinvolgimento con la famiglia Torrisi, non vive una parabola di ascesa e caduta in stile hollywoodiano, ma piuttosto un percorso di scoperta di sé, in cui le scelte morali si intrecciano con la dura realtà di una società in cui l’onore e la sopravvivenza camminano sullo stesso filo. Pian piano Enzo si farà un nome all’interno della famiglia, passando dal semplice uomo di fatica, a fantino di fiducia nel Palio di San Celeste, fino a riscuotere il pizzo ed essere implicato in ruoli di sempre maggiore responsabilità.

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