Xbox Series S: Syberia Remastered: la recensione

Il capolavoro di Benoît Sokal torna a vivere: Syberia Remastered risveglia la sua poesia senza tempo.

THE OUTER WORLD – Benvenuti a un nuovo appuntamento dedicato alla nostra rubrica intitolata “The Outer World”, una finestra nuova per Switchitalia, con vista sui mondi videoludici che si espandono fuori dalle consuete e familiari mura dell’universo Nintendo. Se volete più dettagli sulla nostra iniziativa, vi rimandiamo all’articolo introduttivo con cui ve la presentiamo, sospinti dalla curiosità esplorativa tipica degli amanti dei videogiochi. In questo episodio torniamo nelle atmosfere malinconiche e oniriche di uno degli adventure che hanno segnato un’epoca, Syberia, qui in versione remastered.

Syberia è sempre stata tra quelle saghe che, fin dalla nascita, ambiva ad essere qualcosa di più di un videogioco: uscita nel 2002 e ideata dal compianto Benoît Sokal, pubblicata dallo studio francese Microids, fu infatti una di quelle avventure capace di fondere arte e narrativa in modo raro. Sokal, fumettistia, illustratore, game designer belga, è considerato uno dei pochi autori europei ad aver impresso una vera identità autoriale al videogioco d’avventura. La sua firma, ben impressa in Syberia, si riconosce nella malinconia delle ambientazioni, nella delicatezza dei personaggi e nella costante presenza di un senso poetico del tempo che passa. Il viaggio dell’avvocatessa newyorkese Kate Walker verso un remoto villaggio alpino, incaricata di concludere una banale acquisizione industriale, coerentemente con questa linea, si trasforma presto in una storia sull’abbandono, sui sogni e sulla ricerca di sé, sospesa tra ghiacci, automi e memorie di un mondo perduto. Syberia riusciva a rendere poetico persino il meccanismo di un ingranaggio, facendo dei suoi paesaggi e dei suoi silenzi un linguaggio universale. In un’epoca in cui le avventure grafiche tradizionali stavano tramontando, Microids trovò un modo per renderle attuali, e Sokal impresse nel suo lavoro un senso estetico riconoscibile, tra realismo e sogno, che ha lasciato un segno profondo nella memoria videoludica europea. Syberia Remastered conserva intatte le sue atmosfere romantiche e malinconiche: un mondo sospeso tra villaggi innevati e meccanismi dall’anima un po’ steam punk, dove ogni luogo racconta la fine di un’epoca e il sogno di un’altra.

Oggi, più di vent’anni dopo il lancio, lo studio ripropone quell’opera con Syberia Remastered, una versione aggiornata pensata per dare nuova vita a un classico senza snaturarlo. Dopo la recente riedizione di Amerzone – The Explorer’s Legacy (del quale potete trovare qui la nostra recensione), Microids continua nella sua operazione di recupero dei capisaldi creati da Sokal, applicando un approccio rispettoso: non un remake radicale, ma un restauro fedele con innesti moderni. L’obiettivo è mantenere il cuore della storia e del gameplay intatti, migliorando al contempo la resa visiva e l’esperienza d’uso. Chi ricorda l’originale noterà che la struttura narrativa è rimasta identica. Kate Walker intraprende lo stesso viaggio, incontra gli stessi personaggi, risolve gli stessi enigmi e attraversa gli stessi luoghi intrisi di malinconia e fascino. La differenza sta nel modo in cui tutto questo viene presentato. Gli ambienti sono stati completamente ricostruiti in 3D, rispettando la direzione artistica di Sokal ma con una pulizia e una profondità visiva molto più convincenti. L’interfaccia è stata modernizzata, i controlli adattati alle console e l’intera navigazione ora avviene in tempo reale, senza le vecchie schermate fisse a fondale prerenderizzato. Il risultato è una sensazione di maggiore continuità e immersione, anche se non tutto appare perfettamente rifinito.

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La prima cosa che colpisce in Syberia Remastered è quindi la nuova veste grafica. Le ambientazioni di Valadilène, Barrockstadt e delle tappe successive del viaggio di Kate mostrano un lavoro di ricostruzione minuzioso, con luci più morbide, texture più definite e una resa atmosferica curata. Il titolo gira con buona fluidità e tempi di caricamento quasi nulli, il che aiuta molto a mantenere il ritmo dell’avventura. Tuttavia, i modelli dei personaggi rivelano qualche limite: le animazioni corporee e soprattutto quelle facciali restano piuttosto rigide, in contrasto con la raffinatezza dei fondali. In alcune cutscene si nota che non tutte le sequenze sono state rifatte da zero, e questo crea una certa disomogeneità visiva tra le scene interattive e quelle cinematiche. È un contrasto che non rovina l’esperienza, ma che ricorda costantemente al giocatore che si tratta di un restauro, non di una rinascita completa. Anche sul fronte tecnico il bilancio è misto. Il motore aggiornato regge bene, ma non mancano piccole imprecisioni: collisioni non sempre perfette, qualche bug minore e un controllo della telecamera non sempre preciso negli spazi stretti. Si tratta di inconvenienti marginali ma che, nell’insieme, fanno percepire un certo “attrito” tra vecchio e nuovo. È come se la cornice moderna contenesse ancora un cuore di gioco ancorato alle sue origini, con tutti i pregi e difetti che questo comporta.

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