THE OUTER WORLD – Benvenuti a un nuovo appuntamento dedicato alla nostra rubrica intitolata “The Outer World”, una finestra nuova per Switchitalia, con vista sui mondi videoludici che si espandono fuori dalle consuete e familiari mura dell’universo Nintendo. Se volete più dettagli sulla nostra iniziativa, vi rimandiamo all’articolo introduttivo con cui ve la presentiamo, sospinti dalla curiosità esplorativa tipica degli amanti dei videogiochi. In questo episodio prepariamoci a mettere mano a ferro e fuoco tutto quello che si muove di fronte a noi, consapevoli però che il vero nemico potrebbe essere molto più vicino del previsto…ecco a voi Call Of Duty 7: Black Ops 7.
Nel grande Samsara annuale al quale si presta Call of Duty, ogni nuovo capitolo si trova inevitabilmente a convivere con un doppio peso: l’aspettativa dei fan ormai abituati a un ritmo di uscita serratissimo e la stanchezza fisiologica che accompagna una serie che da anni procede con cadenza quasi rituale, sempre puntuale come una ricorrenza che arriva prima ancora che qualcuno abbia davvero finito di metabolizzare l’episodio precedente. Call of Duty 7, che di fatto si inserisce in questo ciclo incessante, eredita un brand in continua corsa e allo stesso tempo deve convincere un pubblico che inizia a percepire una certa inevitabile assuefazione. L’abitudine, quando si parla di produzioni dal ritmo così serrato, è un’arma a doppio taglio, come ben sanno ad esempio gli amanti dei giochi sportivi: da un lato rassicura, dall’altro rischia di innescare una noia sottile ma crescente, una sensazione di dejà vu che nemmeno le migliorie tecniche e i cambiamenti strutturali riescono sempre a scacciare. Treyarch prova comunque a distinguersi, come già aveva fatto in passato con alcune scelte più coraggiose rispetto alla linea più tradizionale dei capitoli sviluppati da Infinity Ward, e si vede fin da subito l’intenzione di puntare su una narrativa forte, su un’identità marcata e su una regia piuttosto aggressiva. Tuttavia l’ambizione questa volta, lo anticipiamo, sembra essersi spinta un po’ troppo oltre. La storia che il gioco mette in scena si avvita infatti su sé stessa in un intreccio che oltrepassa spesso i limiti del plausibile, sfociando talvolta in territori che sconfinano nella fantascienza e, per certi versi, persino nel soprannaturale. Ambientato nel 2035, Black Ops 7 ci mette nei panni di un David Mason alla guida di un’unità JSOC impegnata ad indagare la potente corporazione tecnologica chiamata La Gilda. Durante l’infiltrazione, la squadra viene esposta a un gas allucinogeno chiamato Cradle, che provoca visioni distorte, traumatiche ma quanto mai realistiche. Il piano della Gilda è di usare questa arma biologica su scala globale per seminare il terrore. Chiaramente il nostro obiettivo è quello di fermare questo piano diabolico. La storia in sé è anche coerente, quello che stona un po’ è che si tratti appunto di un CoD. Alcune boss fight, pur se esteticamente ben orchestrate ispirano più di un momento WtF. È una scelta che potrebbe anche intrigare, soprattutto per chi apprezza un tipo di narrazione meno ancorata alla realtà, ma che inevitabilmente rischia di far perdere di vista quell’atmosfera bellica che molti associavano alla formula originaria della serie. I temi legati ai conflitti storici, alle operazioni militari clandestine e alle tensioni geopolitiche, che erano stati la cifra distintiva dei primi episodi, vengono progressivamente soppiantati da una componente visionaria che non sempre riesce a tenersi in equilibrio tra credibilità e spettacolarizzazione.

A complicare la fruizione ci pensa anche la struttura stessa della campagna. A meno che non abbiate vissuto in isolamento nell’ultima settimana ne avrete lette di tutti i colori, ma cerchiamo di procedere con equilibrio. Non esiste una modalità single player tradizionale: per giocare bisogna essere costantemente connessi online e l’intera avventura è costruita come una campagna cooperativa, dove la presenza degli altri giocatori non è solo una possibilità ma una vera e propria condizione. Salvo che poi ci ritroveremo da soli ad affrontare orde di nemici qualora i nostri compagni d’avventura dovessero dare forfait, quindi senza commilitoni AI a darci supporto nel caso. Inoltre, l’assenza di un salvataggio tradizionale e la totale impossibilità di mettere in pausa il gioco non sono semplici limiti tecnici, ma veri ostacoli alla libertà del giocatore, che si ritrova vincolato a ritmi e dinamiche che non sempre coincidono con le proprie esigenze. Per un titolo che, storicamente, offriva anche esperienze solitarie molto solide, questa scelta rappresenta forse la criticità più evidente, perché segna una distanza piuttosto netta con quella fetta di utenza che nel single player vedeva ancora una parte fondamentale del pacchetto. Questo è un vero peccato perché, ancora una volta, l’esperienza di gioco al netto di questi (grossi) problemi è godibile.

Completata la campagna, il gioco si apre al resto delle modalità, tra cui spiccano le più classiche e amate. La modalità Zombi rimane uno dei marchi più riusciti dell’impronta Treyarch e qui torna con la consueta formula di sopravvivenza ad ondate, con variazioni sul tema, scenari stravaganti e quell’umorismo nero che da sempre la caratterizza. Per sopravvivere alle varie ondate di non morti potremo contare su un armamentario di prim’ordine, su power up di ogni tipo, prima di poter finalmente puntare alla tanto agognata extraction area. La modalità è divertente, è caotica, è perfettamente riconoscibile e probabilmente rappresenta ancora una volta uno dei momenti più ispirati dell’intera produzione. L’altra modalità di gioco, quella End Game, si propone come un’esperienza aggiuntiva orientata verso l’azione più frenetica e gli scontri ad alta intensità, con obiettivi che cercano di offrire un’alternativa al classico multiplayer competitivo. La modalità Endgame di Black Ops 7 propone un’esperienza cooperativa intensa, dove squadre di giocatori devono affrontare aree contaminate dalla ormai ben nota tossina rossa. Durante l’esplorazione di Avalon, i team completano obiettivi dinamici, raccolgono equipaggiamento sempre più potente e sviluppano abilità uniche, il tutto sotto pressione costante. Il vero nodo strategico è anche qui l’estrazione finale: se non si riesce a evacuare con il VTOL, tutto il bottino conquistato viene perso, creando un mix di tensione, gestione del rischio e cooperazione.












