Il videogioco indipendente si conferma sempre più come il laboratorio creativo dell’industria, capace di esplorare linguaggi alternativi e mescolare generi con una libertà spesso preclusa alle produzioni tripla A. Into the Restless Ruins ne è un esempio lampante: un progetto dal taglio visionario che sfugge alle etichette facili, ibridando roguelike, deckbuilding e dungeon crawling in una formula originale e stilisticamente audace. In un mercato saturo di cloni e blockbuster fotorealistici, titoli come questo offrono una boccata d’aria fresca, puntando su direzioni artistiche distintive e meccaniche strutturalmente sperimentali. La scelta di ambientare il gioco in un mondo ispirato al folklore scozzese, con la possibilità di giocarlo anche in gaelico, rafforza ulteriormente l’identità culturale del progetto. In Restless Ruins, ogni carta pescata, ogni stanza posizionata e ogni mostro sconfitto raccontano un frammento di una mitologia dimenticata, trasformando la partita in un rito ludico e narrativo insieme.
La struttura narrativa di Into the Restless Ruins affonda le radici in un folklore celtico denso di simbolismi, misteri e presenze arcaiche. Il giocatore è chiamato ad avventurarsi nei meandri delle “rovine irrequiete”, un labirinto vivo e in continua mutazione, dove ogni run rappresenta una nuova discesa in territori contaminati dal soprannaturale. Al centro del racconto aleggia la figura enigmatica della Harvest Maiden, una divinità ambigua da cui ottenere favori, ma che pare osservare ogni scelta con interesse oscuro. A popolare le rovine sono anche creature e figure tratte dal mito scozzese — come la Hen Wife, il Wulver o il temibile Warden — che più che semplici NPC si configurano come archetipi simbolici, abitanti di un mondo antico e corrotto. Le carte che costruiscono il dungeon non sono solo strumenti ludici, ma veri e propri frammenti narrativi: ogni biblioteca, portale o tomba ha un peso evocativo che contribuisce alla costruzione di un racconto frammentato, emergente, affidato all’interpretazione e alla memoria del giocatore.
Sotto il profilo prettamente ludico, Into the Restless Ruins è un affascinante ibrido che fonde deckbuilding, roguelike e dungeon crawling in un sistema ludico coerente e sorprendentemente stratificato. Il loop principale si sviluppa su due assi intrecciati: costruzione e sopravvivenza. All’inizio di ogni run, il giocatore utilizza un mazzo di carte che rappresentano stanze, corridoi, altari, passaggi segreti e luoghi di potere, per espandere progressivamente il dungeon. Ogni carta posizionata modifica l’architettura della mappa e introduce nuovi eventi, nemici o bonus passivi. A labirinto costruito, entra in scena la seconda fase: l’auto-combattimento, in cui il protagonista attraversa le stanze e affronta le minacce in modo automatico, lasciando al giocatore la responsabilità strategica della configurazione, potenziamento e ottimizzazione del percorso. Il Glimour — una risorsa raccolta nelle rovine — serve da valuta per ottenere favori e miglioramenti, mentre i PNG mitologici permettono di modificare il mazzo, aggiungendo varietà e profondità. Le meccaniche roguelike garantiscono un’elevata rigiocabilità, tra layout procedurali, reliquie rare e modificatori di regole sbloccabili. Il ritmo è ciclico ma teso: ogni decisione conta, ogni carta può avvicinare alla salvezza… o al collasso.
Pur adottando un’estetica “low-bit” essenziale, Into the Restless Ruins non scade mai nel minimalismo sbrigativo. Al contrario, l’approccio visivo si dimostra stilisticamente coerente e sorprendentemente raffinato: la palette cromatica cupa, tendente a toni terrosi e ocra, evoca un senso di rovina antica e sacralità perduta, mentre gli accenti di colore — rossi, verdi acidi, blu spettrali — servono a evidenziare elementi chiave e guidare l’attenzione del giocatore. Le animazioni, seppur ridotte all’osso, sono fluide e ben ritmate, restituendo una scansione atmosferica più che dinamica. I ritratti dei personaggi e le carte ambiente sono realizzati con una cura notevole per l’iconografia folkloristica scozzese, rievocando visivamente archetipi di streghe, spiriti e creature fae con un tratto stilizzato ma evocativo. Il risultato è un comparto artistico che, pur fondandosi su uno stile semplice e retrò, non appare mai spoglio o anonimo, bensì ricco di suggestioni e identità. Anche le prestazioni su Nintendo Switch sono solide: caricamenti rapidi, interfaccia intuitiva e nessun rallentamento, nemmeno nei momenti più affollati o con effetti visivi attivati. L’insieme riesce così a restituire un’esperienza visivamente compatta ma affascinante, dove ogni dettaglio concorre a definire un mondo coerente, misterioso e profondamente immersivo, a metà strada tra fiaba oscura e strategia procedurale.
La recensione
Into the Restless Ruins è un roguelike atipico che unisce deckbuilding e dungeon crafting con un’estetica rétro curata e un immaginario folklorico affascinante. La struttura ludica originale e il world building ispirato lo rendono un’esperienza profonda e coerente, seppur indirizzata a un pubblico di nicchia. Un titolo non per tutti, ma sorprendente per chi cerca qualcosa di davvero diverso.