Xbox Series S: Ninja Gaiden: Ragebound: la recensione

Ryu Hayabusa torna a brandire la sua lama in Ninja Gaiden: Ragebound, un revival che affila la tradizione con uno stile moderno

THE OUTER WORLD – Benvenuti a un nuovo appuntamento dedicato alla nostra rubrica intitolata “The Outer World”, una finestra nuova per Switchitalia, con vista sui mondi videoludici che si espandono fuori dalle consuete e familiari mura dell’universo Nintendo. Se volete più dettagli sulla nostra iniziativa, vi rimandiamo all’articolo introduttivo con cui ve la presentiamo, sospinti dalla curiosità esplorativa tipica degli amanti dei videogiochi.  Oggi è il turno di analizzare il ritorno di un brand storico, parliamo di Ninja Gaiden.

Ninja Gaiden è un nome che da oltre trent’anni risuona come simbolo di azione frenetica, sfida implacabile e maestria tecnica nel panorama videoludico. Nato negli anni ’80 con le prime incarnazioni arcade e NES, il franchise ha saputo reinventarsi più volte, passando dalle origini a scorrimento laterale all’approccio più tridimensionale e cinematografico dell’era Team Ninja, senza mai tradire la propria essenza: un gioco che richiede precisione, riflessi e sangue freddo. Ogni episodio di Ninja Gaiden ha sempre portato con sé la fama di essere un banco di prova per hardcore gamers, ma anche di offrire un combat system profondo e appagante, capace di trasformare la fatica in puro godimento tecnico. Arriviamo così a Ninja Gaiden: Ragebound, titolo che segna un punto di svolta nel franchise, con l’ambizione di riconciliare la tradizione con un linguaggio più moderno, senza snaturare ciò che ha reso Ryu Hayabusa un’icona. Il progetto si presenta come una rilettura audace: un ritorno alle origini 2D in chiave action-platformer, ma contaminato da soluzioni estetiche e meccaniche che strizzano l’occhio sia ai veterani, sia a una nuova generazione abituata a standard produttivi contemporanei. Non si tratta di un semplice revival nostalgico, ma di un tentativo consapevole di riplasmare l’identità del brand in un contesto che esige innovazione visiva e varietà ludica, pur mantenendo intatti i tratti distintivi di brutalità elegante e ritmo serrato che da sempre definiscono la saga.

La sfida di riportare in auge un nome carico di storia come Ninja Gaiden non poteva essere affidata a mani inesperte, e la scelta di Dotemu come capofila di questo progetto non è stata casuale. Conosciuti per il loro talento nel rivitalizzare classici del passato, come dimostrato con Streets of Rage 4 e Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder’s Revenge, Dotemu ha saputo costruirsi una reputazione come custode rispettoso delle tradizioni, ma al tempo stesso capace di infondere nuova linfa a formule che rischiavano di rimanere cristallizzate nella nostalgia. Il loro approccio, fatto di equilibrio tra fedeltà e innovazione, si è rivelato ideale per affrontare l’eredità complessa di Ninja Gaiden, un brand che non può permettersi compromessi sul fronte della sfida e della pulizia del gameplay. Nonostante l’assenza diretta del Team Ninja, la collaborazione con figure storiche legate alla saga e la cura quasi artigianale nella ricostruzione dell’identità visiva e ludica del gioco testimoniano la volontà di Dotemu di non limitarsi a un semplice esercizio di stile. Ragebound nasce infatti con la consapevolezza di dover soddisfare due pubblici esigenti: i fan di lunga data, che vogliono ritrovare quella sensazione di controllo assoluto e tensione continua, e i nuovi giocatori, attratti da produzioni dal ritmo serrato ma accessibili e gratificanti anche fuori dai circuiti dell’élite hardcore. È un lavoro di sintesi ambizioso, che Dotemu affronta con il proprio marchio di fabbrica: una passione tangibile per il retrogaming, ma declinata attraverso tecnologie e sensibilità attuali.

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Se la saga di Ninja Gaiden non ha mai fatto della trama il suo fulcro principale, limitandosi spesso a costruire pretesti narrativi per scatenare il balletto di lame di Ryu Hayabusa, Ragebound sceglie di dare alla narrazione un ruolo più coeso e organico, pur senza rallentare il ritmo dell’azione. La storia si colloca come un capitolo stand-alone, concepito per essere accessibile anche a chi non conosce la mitologia intricata dei precedenti episodi, ma allo stesso tempo disseminato di riferimenti e omaggi che i fan di lunga data sapranno cogliere con soddisfazione. In Ragebound, Ryu si ritrova a fronteggiare una minaccia che mescola tradizione e inedito: un culto oscuro, i “Kurai Shugenja”, decisi a risvegliare antichi demoni intrappolati nei leggendari “Nexus Stones”, artefatti capaci di distorcere la realtà e scatenare una furia primordiale, la “Ragebound” appunto. La vicenda si sviluppa attraverso una narrazione diretta, asciutta, che evita lunghe sequenze cinematografiche ma sa giocare con dialoghi incisivi e brevi cutscene animate in stile graphic novel, capaci di dare ritmo al racconto senza interrompere il flusso di gioco. Il tono narrativo si mantiene in equilibrio tra epica e introspezione: non c’è il tentativo di trasformare Ryu in un personaggio dalla psicologia complessa, ma emerge una maggiore attenzione al suo ruolo di guerriero solitario, combattuto tra il senso del dovere e il peso di un destino che continua a richiamarlo al conflitto. Gli antagonisti, pur non sfuggendo a certi stereotipi, sono caratterizzati da un design visivo potente e da motivazioni che si ricollegano al tema centrale del gioco: la furia come forza distruttiva, ma anche come scintilla di rinascita. Il cuore pulsante di Ninja Gaiden: Ragebound è, come da tradizione, il suo gameplay: un connubio serrato di precisione, velocità e letale eleganza che restituisce al giocatore quella sensazione di assoluto controllo che ha sempre distinto la saga. Nonostante il ritorno alla bidimensionalità, Ragebound non si accontenta di replicare i vecchi schemi, ma rielabora il combat system con una profondità che sorprende, fondendo il ritmo degli action platformer moderni con la ferocia tecnica degli hack ‘n slash tridimensionali.

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