Nel panorama videoludico contemporaneo, sempre più dominato da produzioni “tripla A” destinate a massimizzare il richiamo commerciale, resta poco spazio per quei progetti di fascia intermedia che, pur non godendo della stessa diffusione, si rivelano cruciali nel mantenere vivo il tessuto creativo dell’industria. Si tratta dei cosiddetti titoli “AA”: opere sostenute da publisher di primo piano ma sviluppate con risorse più contenute, libere di esplorare idee originali senza la pressione di dover soddisfare platee sterminate. In queste ramificazioni laterali si annida spesso la vera innovazione, capace di influenzare a cascata anche le produzioni più imponenti. Bandai Namco, in particolare, ha dimostrato negli ultimi anni di credere in questo approccio, affiancando ai propri franchise più popolari esperimenti dallo spessore autoriale. È il caso del prossimo capitolo di Little Nightmares e, oggi, di Towa and the Guardians of the Sacred Tree, nuova incursione in un territorio dove invenzione e identità si intrecciano.
Towa and the Guardians of the Sacred Tree costruisce il proprio impianto narrativo attorno a un immaginario che mescola tradizione fiabesca, mitologia e ciclicità tipica del genere roguelite. Il cuore della vicenda è il Sacro Albero, simbolo vitale e fragile allo stesso tempo, minacciato dalla corruzione oscura generata dall’entità Magatsu. Nei panni di Towa, il giocatore si trova a incarnare una figura di legame, un tramite tra l’elemento naturale e la comunità umana che dal suo equilibrio dipende. Da qui prende forma il villaggio di Shinju, autentico centro nevralgico del racconto: non semplice hub tra una missione e l’altra, ma spazio vivo, popolato da personaggi con i quali instaurare rapporti che evolvono nel tempo, riflettendo i progressi compiuti e le cadute subite. Le run che scandiscono l’avventura non sono dunque isolate, ma si innestano in un tessuto narrativo che sottolinea i legami, la responsabilità e il sacrificio. Ogni nuova sortita contro il male porta con sé il rischio di perdere, ma anche l’occasione di far crescere il villaggio e rafforzare i Guardiani. Ne deriva un equilibrio dinamico tra intimità e epica: da un lato la quotidianità delle interazioni, dall’altro il conflitto cosmico contro una minaccia in grado di travolgere ogni cosa.
Il fulcro dell’esperienza risiede in un loop roguelite che alterna fasi di combattimento intenso a momenti di ricostruzione e crescita nel villaggio di Shinju. Ogni spedizione contro le forze di Magatsu si svolge in ambienti generati proceduralmente, dove la coppia di Guardiani scelta dal giocatore mette in campo abilità complementari: uno come attaccante, l’altro come supporto. Questo sistema a due figure offre varietà strategica e spinge a sperimentare combinazioni sempre nuove, garantendo un senso di progressione che va oltre il semplice accumulo di potenza. Al ritorno al villaggio, i risultati della run influenzano direttamente la comunità: armi forgiate, nuove iscrizioni magiche, crescita del dojo e legami con gli abitanti costruiscono un senso di continuità che compensa la frammentarietà delle spedizioni. Tuttavia, la natura ciclica del roguelite si fa sentire col passare delle ore: nonostante la profondità delle meccaniche, il rischio di ripetitività si manifesta quando i nemici e le situazioni iniziano a ricalcare schemi già visti, attenuando l’impatto della sfida. In positivo, il gioco incentiva la sperimentazione e offre sempre una ricompensa tangibile, anche nelle sconfitte; in negativo, alcuni rallentamenti narrativi e la struttura talvolta ridondante minano il ritmo. Resta un sistema solido, capace di bilanciare soddisfazione e fatica, ma non esente da attriti.