Desolatium: la recensione

Orrore, orrore: Lovecraft prende vita in una pellicola underground sulle vostre Switch!

Esistono personaggi nel mondo dell’immaginario collettivo che fungono da catalizzatori inimitabili, come vere e proprie stelle nel firmamento, in grado di illuminare lo spazio cosmico emanando una luce intensa e capace di superare eoni spazio-temporali. Nel caso della narrativa a sfondo horror, uno dei massimi esponenti di questa ondata di ispirazione che ha attraversato i decenni, intatta e inattaccabile vista la sua enorme carica di carisma e innovazione è senza dubbio Howard Phillips Lovecraft: scrittore americano conosciuto e apprezzato da tantissimi lettori in tutto il mondo, ma anche preso ad esempio per il pantheon dei suoi mostri e delle sue divinità da artisti di varie discipline provenienti da diversi continenti e capaci di declinare il suo orrore cosmico attraverso i più disparati media comunicativi: ovviamente la stessa letteratura da cui HPL proviene, ma anche fumetti, film, musica e…videogiochi. I fan Nintendo più accaniti ricorderanno con affetto (o terrore!?) il thriller psicologico a tinte gore di Silicon Knights sviluppato in esclusiva per GameCube conosciuto con il nome di Eternal Darkness, giusto per citare un esempio preso dalla stessa industria che tanto amiamo e restando nei familiari lidi della casa di Kyoto. Impossibile ricordare qui e ora tutti gli splendidi momenti di intrattenimento che l’autore originario ci ha regalato direttamente o tramite epigoni successivi, ma una cosa è certa: ogni qualvolta il nome di Lovecraft viene associato a un nuovo progetto, agli appassionati si drizzano le antenne, tanto per la curiosità quanto per la prudenza. Sì perché quanto più una stella è luminosa, tanto più profonde sono le ombre che getta, per cui spesso si resta bruciati dalla pedissequa scopiazzatura priva di talento. Desolatium saprà posizionarsi sul lato corretto della storia? Scopritelo con noi.

Il progetto qui preso in esame è un’avventura grafica punta&clicca di impostazione ludica piuttosto classica in cui il giocatore sarà chiamato a indagare sulla misteriosa scomparsa di un amico attraverso gli occhi di 4 personaggi diversi, ognuno con le proprie caratteristiche. L’obiettivo sarà quello di svelare il mistero mentre percorrerete un oscuro cammino intriso di miti e creature Lovecraftiane. I “Grandi Antichi” di cui tanto si è letto sono davvero reali? Ma fate attenzione alle domande di cui state cercando risposta, perché le risposte potranno condurvi tanto alla verità quanto…alla follia, se non presterete la dovuta attenzione. Il titolo è una vera e propria avventura grafica, del tutto inedita in termini di canovaccio e sceneggiatura, pur appoggiandosi a un world building conosciuto dagli appassionati, in cui potrete indagare diverse location a 360°, muovendo le gesta dei vostri personaggi lungo quattro percorsi indipendenti, ma ovviamente intrecciati tra loro, sfruttando anche le specifiche caratteristiche di indagine di ciascuno degli avatar di cui vestirete i panni lungo l’asse principale dell’avventura. Un’esperienza intrigante, grazie a diverse scelte tecniche e narrative operate dal team di programmazione in merito al sound design e ad alcune soluzioni di rappresentazione di una cosmogonia così potentemente familiare, anche se azzoppata da alcune incertezze sul versante tecnico quanto sotto il profilo della pura giocabilità. Ma andiamo con ordine.

Il gioco prevede la possibilità di spostarsi negli ambienti solamente interagendo con specifici punti della scenografia, passando in pratica da una location statica alla successiva, spingendo il giocatore a guardarsi attorno in ogni quadro, per trovare tutti gli elementi potenzialmente interattivi di quella stanza, raccogliendo oggetti o indizi, piuttosto che trovando la corretta combinazione di elementi dell’equipaggiamento o il giusto dialogo con uno dei tanti NPC, per passare alla fase successiva dell’indagine. Questi momenti sono molto importanti anche per altri motivi, però, legati alla costruzione di un world building i cui crismi sono disseminati anche lungo didascalie o stringhe di testo apparentemente secondarie, corollarie se non addirittura nascoste, ma in realtà fondamentali, nel dare profondità all’esperienza di gioco. Sì perché l’elemento puramente ludico è ridotto al lumicino, vuoi perché al di là della lettura e della risoluzione di piccoli e semplici (laddove comprensibili) enigmi ambientali, sostanzialmente nel titolo analizzato non sussistono ulteriori fasi interattive; vuoi perché è proprio in quei ritagli di giornale, in quei commenti metatestuali o nell’apparente noncuranza di piccoli dettagli disseminati lungo l’ossatura della sceneggiatura che risiede il gancio principale nei confronti del giocatore: il continuo rimando ai miti di Chtulhu e compagnia cantante (benché si tratti di aliene litanie cosmiche, ovviamente!) che tanto potere simbolico ed evocativo racchiudono in semplici significanti linguistici. Irresistibile, seppur feticistico, sentire il flusso di coscienza di uno dei protagonisti che afferma di aver esaurito il luminol durante le indagini sul caso della vedova Derleth, giusto per approfittare di un citazionismo tanto superficiale da risultare perfettamente calato nella sua parte.

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