Viewfinder: la recensione

In Viewfinder basta uno scatto per riscrivere la realtà: punta, metti a fuoco, scatta… e il mondo cambia forma.

Il design dei livelli accompagna questa progressione con equilibrio. All’inizio ci si limita a familiarizzare con la meccanica di base, ma presto le regole cambiano, i vincoli si moltiplicano, e diventa necessario ragionare in modo più creativo. Alcuni puzzle si risolvono con semplicità, altri richiedono osservazione e pazienza, ma nessuno appare artificioso o gratuito. La curva di apprendimento è ben calibrata e l’esperienza complessiva mantiene sempre un tono di leggerezza, quasi meditativo, come se l’obiettivo non fosse tanto “risolvere” quanto “vedere” in modo diverso. Dal punto di vista narrativo, Viewfinder non costruisce una trama nel senso tradizionale del termine. Non ci sono personaggi da seguire, dialoghi o colpi di scena. Al contrario, la storia si manifesta attraverso frammenti: registrazioni, appunti, messaggi lasciati da chi sembra aver abitato questi mondi prima di noi. Emergono temi come la memoria, la creatività, la percezione del reale, ma tutto resta volutamente sfumato, come se il gioco volesse spingerci a trovare da soli un significato. È una scelta coerente con il tono generale, che privilegia l’intuizione e la contemplazione alla spiegazione.

Il mondo di Viewfinder è un mosaico di stili visivi e atmosfere. Ogni livello adotta un’estetica diversa: si passa da ambienti realistici a paesaggi pittorici, da disegni a matita a mondi costruiti come collage digitali, fino a scenari che sembrano provenire da vecchie console a 16 bit. Questi cambi di stile non sono solo estetici, ma fanno parte integrante della meccanica, perché spesso ciò che si inquadra in un’immagine possiede un proprio linguaggio visivo e, quando lo si materializza, cambia anche il modo di percepire l’ambiente circostante. Dal punto di vista tecnico, il lavoro è di alto livello, soprattutto se si considera la dimensione ridotta dello studio. Il passaggio tra diversi stili grafici avviene senza interruzioni, le animazioni sono fluide e il motore di gioco gestisce in modo convincente l’effetto di trasformazione delle immagini in strutture solide. La direzione artistica, pur non puntando sul fotorealismo, crea un mondo vivo e coerente, in cui ogni texture, colore e prospettiva contribuisce a mantenere la sospensione dell’incredulità. Anche la colonna sonora accompagna con discrezione e delicatezza, alternando momenti di silenzio contemplativo a brevi accenni melodici che sembrano emergere come ricordi lontani.

La longevità non è uno dei punti di forza del titolo: completare l’avventura richiede in media dalle cinque alle sette ore, a seconda del tempo dedicato alla sperimentazione. Ma è una durata che si adatta bene alla natura dell’esperienza, perché Viewfinder non vuole diventare un mondo da abitare per settimane, bensì un viaggio breve e intenso, come una galleria da attraversare con calma, scattando fotografie mentali più che collezionando trofei. Detto di una grafica non eccelsa e di una durata moderata, rimane qualche riserva anche riguardo la costruzione di alcuni livelli. Verso la fine il senso di meraviglia tende a diminuire, perché ormai si è compreso il principio alla base di tutto. Tuttavia, ridurre Viewfinder a ciò che manca sarebbe ingiusto, perché ciò che offre è tanto limpido e compiuto da rendere superfluo quasi tutto il resto. In un certo senso, Viewfinder non è semplicemente un puzzle game, ma una riflessione interattiva sul potere dell’immaginazione: ci insegna che guardare diversamente equivale a costruire diversamente.

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La recensione

7 Il voto

Viewfinder è una piccola gemma che riesce a distinguersi nel mare dei puzzle game contemporanei grazie alla sua originalità, alla coerenza estetica e alla grazia con cui bilancia intuizione e logica. Breve ma intenso, leggero ma profondo, semplice da giocare ma difficile da dimenticare. È un gioco che non vuole impressionare con la complessità, ma con la chiarezza di un’idea.

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