The Great Ace Attorney Chronicles: la recensione

Per andare avanti, c'era bisogno di tornare indietro di più di cent'anni.

Vent’anni sono passati dalla nascita di Ace Attorney, la storica serie forense di Capcom creata dall’ormai leggendario Shu Takumi. Magari non una delle più redditizie – soprattutto se paragonata a un franchise gigantesco come Monster Hunter – ma nel tempo è riuscita a crearsi uno zoccolo duro di appassionati che, tra le altre cose, chiedeva a gran voce la localizzazione di una serie spin-off apparsa su 3DS tra 2015 e 2017 con due capitoli rimasti finora confinati in Giappone. Più o meno a sorpresa, Capcom ha deciso finalmente di realizzare i nostri sogni con The Great Ace Attorney Chronicles su Switch.

SI tratta di uno spin-off non tanto per le meccaniche di base (che rimangono più o meno le stesse), ma soprattutto per ambientazione e personaggi. Non vestiremo infatti i panni del “vecchio” avvocato difensore Phoenix Wright, bensì quelli di Ryunosuke Naruhodo, giovane studente giapponese che in realtà è una sorta di antenato di Phoenix (con il quale condivide goffaggine ed espressioni buffe). Inoltre, l’epoca storica è quella dell’era Meiji, ovvero un periodo di forte apertura del Giappone verso l’Occidente a cavallo tra XIX e XX secolo. Questa scelta, che ho trovato molto azzeccata e suggestiva, ha diverse conseguenze su molti aspetti: in primis, costumi, edifici e modo di parlare retrò che ben si amalgamano e restituiscono un’atmosfera ben riuscita. Anche grazie ad una grafica ormai moderna in 3D: è da tempo ormai che abbiamo detto addio ai pixelloni del Game Boy Advance, ma questa è stata la prima volta per la serie in cui fossero utilizzati dei modelli tridimensionali, con animazioni molto ben fatte, per di più. Ciononostante, la solita folle direzione artistica strizza l’occhiolino ai fan di lunga data, compreso il rumore dei tasti della macchina da scrivere per evidenziare luoghi e date, oppure gli inconfondibili effetti sonori tanto irrealisitici quanto divertenti.

Ma la decisione di ambientare le vicende più di un secolo fa ha come conseguenza anche quella di limitare notevolmente le innovazioni tecnologiche utilizzate durante le investigazioni: se con l’andare della serie venivano man mano aggiunti campioni di sangue, impronte digitali e altre diavolerie iper-tecnologiche, tornando indietro di cent’anni scompaiono tutti questi strumenti, se non i primissimi esemplari di macchine fotografiche (ovviamente in bianco e nero). Se da un lato queste mancanze rendono più complicato risolvere casi che al giorno d’oggi si sarebbero conclusi in pochi minuti, dall’altro creano situazioni in un certo senso più “tradizionali”, che spingono a utilizzare il pensiero logico in una maniera che più si avvicina ai primi capitoli per GBA/DS e alla letteratura gialla classica.

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Questa traslazione di luogo e tempo influisce anche su alcuni elementi della trama: da sempre la serie è caratterizzata da un’alternanza di registri, passando in maniera anche inattesa dal comico al drammatico, con casi decisamente maturi. Rispetto alla serie principale, tuttavia, si fa sentire più netto un sottotesto politico: il Giappone ha da poco stretto un patto di alleanza con la Gran Bretagna, quindi non tardano a mancare le reazioni preoccupate dei piani alti quando nel primissimo caso viene portata sul banco degli imputati un’elegante lady inglese in viaggio di studio. Questo è solo uno dei numerosi rimandi ad eventi storici e un clima politico che più volte vengono fuori in maniera più o meno sottile. Non si può parlare di vera e propria denuncia, ma rimane comunque una sfumatura mai vista finora in un Ace Attorney e possibile solo grazie allo specifico contesto storico-culturale.

Ci sono anche alcuni riferimenti letterari, come lo scrittore giapponese Natsume Soseki, ovviamente in una versione che parte dalla biografia reale per poi trasformarlo in tutto e per tutto in un personaggio tipico da AA. Anche la letteratura inglese viene rappresentata, considerando che buona parte del gioco è ambientata nella Londra vittoriana: senza svelarvi come e perché, vi basti sapere che ci ritroveremo più volte a che fare con Herlock Sholmes. No, non avete letto male e non è un errore di battitura: sebbene il nome sia stato leggermente modificato (probabilmente per questione di diritti d’autore), è impossibile non rivedere in lui Sherlock Holmes, il celeberrimo detective nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle. Ma non aspettatevi di trovarvi davanti il freddo e lucido investigatore che tutti noi conosciamo: giocando proprio sulle nostre aspettative, ci viene presentato un personaggio completamente all’opposto, sempre su di giri e farsesco. Sebbene a livello di accuratezza e fedeltà al materiale originale siamo ai minimi storici, il rapporto che si viene a creare con Sholmes è probabilmente uno dei punti forti del gioco, soprattutto quando accostato al tipico rigore nipponico che contraddistingue Ryunosuke e Susato, la sua assistente in tribunale (forse la migliore che abbiamo mai avuto al nostro fianco).

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