The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom: la recensione

Si torna a viaggiare nelle terre di Hyrule, si torna a sognare con Link...siete davvero pronti?

Lo scheletro dell’esperienza di gioco è molto simile a Breath of the Wild: a più riprese vi ritroverete spaesati in un mondo aperto ricco di quasi infinite possibilità di movimento, scelta e azione. Alle dinamiche di interazione originariamente offerte dalla tavoletta Sheikah si sostituiscono qui altre tipologie di potere, per lo più esposte da Aonuma nel video precedente il lancio. JoyCon alla mano, però, tutto cambia; l’enormità dell’apertura mentale che il gioco offre e richiede per la messa in pratica di qualsivoglia soluzione per superare ogni ipotetico ostacolo o nemico è difficile da riassumere per iscritto in una recensione, ma sappiate almeno questo: la vostra fantasia sarà il propulsore più grande e potente per godervi appieno questa nuova avventura, sfruttando quelli che mai come ora si possono realmente considerare dei meri strumenti creati dagli sviluppatori e messi in mano a voi giocatori, per affrontare il mondo di gioco e le sue avversità come meglio crediate. Il potere di ascensione rivoluziona l’esplorazione ambientale, anche se non sempre sarà utilizzabile e, a tratti, potreste comunque preferirgli una scalata o un girovagare più ampio che potrebbe però portarvi in una posizione più strategica rispetto agli avversari; la possibilità di comporre diversi elementi del vostro equipaggiamento (non soltanto quindi armi o scudi, ma anche una quantità enorme di oggetti più disparati) per ricavarne nuova strumentazione non risolve il problema della distruttibilità delle armi (che per alcuni azzoppava in parte il divertimento in Breath of the Wild), ma al contrario lo esalta, facendolo diventare un punto di forza oggettivo, alla continua ricerca di risultati inaspettati per ottenere sempre nuovi oggetti coi quali affrontare le peripezie che caratterizzano l’avventura di Link; il potere di assemblare tra loro invece oggetti di grandi dimensioni, per ottenere piattaforme, mezzi di trasporto o altre soluzioni con cui far interagire il nostro avatar ci mette davanti alla necessità, che contestualmente risulta ovviamente anche una possibilità, di immaginare al di fuori dei consueti schemi la relazione tra il nostro avatar e l’ambientazione in cui esso si muove, per valutare tutti gli elementi selezionabili e le loro possibili combinazioni, anche rispetto alle nostre esigenze di combattimento o di esplorazione contestuale, trasformandone in maniera potente i valori di gioco; infine, il potere forse più bizzarro e dal maggior potenziale di tutti risulta quello legato alla possibilità di invertire il flusso temporale di un singolo elemento, facendo tornare indietro nel tempo l’ultima azione di quel singolo oggetto, rispetto a un contesto invece invariato: a conti fatti questa caratteristica è quella meno intuibile, al di fuori di alcuni elementi sostanzialmente ovvi, ma anche quella dai risultati più sorprendenti, divertenti, utili e geniali. Senza contare quanto il tutto risulti, nel suo insieme, ancor più rivoluzionario, pensando alle possibili combinazione dei diversi poteri tra loro: nel gioco, infatti, sarà ad esempio possibile creare oggetti di grandi dimensioni unendone di più tra loro, per poi gettarli in una data direzione, salo poi cambiare potere e applicarne il movimento inverso, così – ad esempio – da far precipitare enormi massi sulla testa di avversari ignari, che mai si sarebbero aspettati di essere colpiti da elementi tanto grandi, provenienti da una direzione così innaturale, secondo il normale flusso delle cose, tra cui le dinamiche di battaglia. Tutto, in Tears of the Kingdom, può essere affrontato in maniera originale e molti individuale: una affermazione che vale tanto per l’esplorazione ambientale di questo vasto mondo, quanto per le più specifiche delle situazioni, includendo le soluzioni a molti, seppur non tutti, i dungeon (grandi o piccoli, narrativi o secondari) sparsi per l’enorme mappa di gioco. Da un lato, infatti, il concetto di apertura abbraccia le decisioni di avanzamento lungo l’arco narrativo centrale, che a pura discrezione del fruitore, può essere diluita lungo un vastissimo numero di missioni secondarie, assolutamente non obbligatorie e di base anche non segnalate, ma attivabili semplicemente seguendo con curiosità i tantissimi elementi di narrazione implicita sparsi per Hyrule; dall’altro arriva persino a caratterizzare anche l’approccio agli enigmi tipici della serie, permettendo di raggiungere il medesimo scopo od obiettivo anche in una pluralità di modi differenti, secondo metodi creati dall’immaginazione e dalla voglia di sperimentazione di ciascuno di voi. Anche perché va ricordato come, accanto a tutto ciò che di nuovo i programmatori hanno deciso di introdurre, troverete le già ricche dinamiche di gioco di Breath of the Wild ad aspettarvi, per una familiare sensazione di varietà e profondità derivante da uno dei giochi migliori di sempre, rilasciato al lancio della console.

Tutti i poteri scaturiti dalla fantasia del team di sviluppo non avrebbero però molto senso, se non fossero intrinsecamente legati alla struttura del mondo qui proposto per il divertimento della nostra esplorazione libera. E proprio nella mappa troviamo quell’equilibrio sublime tra il conosciuto e la novità di cui parlavamo prima, tale per cui svariate dinamiche vi calzeranno sin da subito come un guanto, mentre altre vi lasceranno a bocca aperta. L’Hyrule del 2017 da molti è considerata all’apice del concetto di open world, eppure sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: in Tears of the Kingdom Aonuma e soci si sono persino superati. Partendo dall’ottima base a loro disposizione, infatti, hanno sfruttato questi anni per arricchire non poco quanto già visto all’epoca, sia sotto il mero aspetto quantitativo, che migliorando alcuni aspetti complessivi, siano essi inediti o esistenti. Innanzitutto, partiamo dalle normali terre di questo mondo fatato, che ripropongono la medesima conformazione del territorio per un approccio che morfologicamente ci riporta nel continente esplorato e conosciuto a fondo diversi anni fa, soltanto per farci vedere quanto esso sia cambiato nel corso del tempo, dopo la sconfitta del male e la volontà da parte del popolo di riprendere a vivere in un contesto di normalità (pertanto, ecco spuntare nuovi insediamenti, servizi di collegamento, borghi e attività di varia natura che cercando, faticosamente, di inserirsi in un contesto di ripresa della socialità e di rilancio dell’economia del regno), senza lesinare nell’infondere elementi di diversificazione rispetto al passato anche dettati al contrario dalla recentissima riemersione del miasma e del potere dei demoni ad esso collegato (e pertanto, ecco spuntare insediamenti nemici, ma anche terreni paludosi intrisi degli effluvi venefici, piuttosto che infide sabbie mobili pronte a catturarci a ogni piè sospinto). Sarà affascinante aggirarsi per queste lande così tanto battute fino a solo poco tempo fa, per vederne emergere i cambiamenti, attraverso lineamenti familiari. Sempre con il loro enorme bagaglio di interattività e punti di interesse, tanto sotto il versante ludico quanto in termini di snodi narrativi. Ma Tears of the Kingdom non si adagia sugli allori di una splendida Hyrule, bensì rilancia, con un carico di innovazione e novità davvero impressionante: prima di tutto, il punto di partenza del gioco stesso vi porterà con la testa tra le nuvole, in senso letterale. Salvo poi ridiscendere…nelle viscere della terra. Sì perché, grazie ad alcuni sconvolgimenti sismici e non solo, intrinsecamente legati alle vicende qui narrate, ecco che ci potremo perdere, spinti tanto dagli snodi del racconto quanto dalla nostra libera curiosità, tanto tra le isole fluttuanti nel cielo, quanto negli oscuri e tenebrosi labirinti sotterranei che, coi loro cunicoli e le loro grotte, si insinuano sotto il livello della superficie. Il primo aspetto è spettacolare, nella gestione degli elementi aerei, persino senza paravela, e riesce a dare tantissimo senso di apertura ed esplorazione a cielo aperto, tra planate selvagge e apparentemente infinite, tuffi spettacolari, strani aggeggi misteriosi e tanto altro, in grado di sospingere il senso di illusione oltre ogni limite, con il suo carico di poetica dispersione. Il secondo aspetto, al contrario, è claustrofobico e minaccioso, opprimente e a tratti persino terrificante, con la sua ambientazione calda e chiusa, sempre ostile e spesso popolata dalla creature più tenebrose dell’intera saga. Una contrapposizione di temi, colori e atmosfere davvero sublime che, accanto al verde dei prati di Hyrule propone l’azzurro dei suoi cieli e il rosso della sua lava, come un contraltare cromatico portatore anche di tante differenziazioni in ambito sia stilistico che ludico. Tre macro aree ben distinte, ciascuna caratterizzata anche da variazioni del livello di difficoltà e minaccia, nonché di specificità interattive proprie, in grado di offrire un cambio di ritmo notevole e una vasta gamma situazionale, come da un seguito forse non era nemmeno lecito aspettarsi. Forse alcuni appassionati non saranno ancora pienamente soddisfatti dall’assenza di una corposa proposta di classici dungeon, ma dopo aver provato il gioco con mano, ci sentiamo di affermare che questa preoccupazione sia più pretestuosa di quanto non valesse per Breath of the Wild: non solo, infatti, potrete mettere alla prova le vostre abilità nella risoluzione di enigmi ambientali in numerosi santuari come accaduto nel predecessore; non solo alcuni labirinti puramente concepiti sono comunque presenti nel gioco; non solo moltissimi aspetti di esplorazione contestuale nel mare di nuvole presentano una struttura di movimento necessariamente basata sull’attenta analisi della conformazione del level design in relazione in relazione alle vostre attuali capacità (siano salute e resistenza, piuttosto che poteri, ma anche armi ed equipaggiamento), avvicinandosi al concetto di dungeon esteso tipico di Skyward Sword; ma addirittura molte delle location sotterranee potrebbero essere definite come un unico esteso ed impegnativo labirinto, per la gioia anche di chi è alla ricerca di atmosfere più dark e di un livello di sfida più sostenuto. Insomma, questo gioco davvero propone contenuti un po’ per tutti i palati.

Anche sotto il versante tecnico potrebbe valere la medesima analisi fatta per contenuti e stile: il team parte dal lavoro svolto per il predecessore, arricchendolo e migliorandone diversi aspetti, in questo caso anche grazie al fatto di aver potuto lavorare un’unica versione, ottimizzando la resa per l’hardware di Nintendo Switch. L’impostazione generale è quindi quella di un mondo molto ampio, vasto e aperto, dove i caricamenti sono molto sporadici e piuttosto rapidi, senza quindi andare a tagliare le gambe alla libera fruizione anche in modalità portatile o a sessioni di gioco più brevi e limitate della classica “full immersion” davanti allo schermo televisivo. La direzione artistica si muove in piena continuità stilistica con quanto già visto in Breath of the Wild, anche se le due aree aggiuntive, come accennato poco sopra, riescono comunque a distinguersi in maniera netta per quel che concerne palette di colori e atmosfere generali, andando a rendere più variopinta e ricca l’esperienza visiva. La definizione dell’immagine si assesta su livelli simili a quelli visti in precedenza, con però una gestione dinamica migliore che, un po’ come già visto in Xenoblade Chronicles 3, si adatta in maniera molto rapida alla porzione di mondo inquadrata dalla telecamera, nonostante la sua libera gestione affidata in toto alle sapienti mani registiche del singolo giocatore, andando quindi a migliorare la messa a fuoco e la nitidezza del tutto, agli occhi del giocatore. Nettamente migliorato poi il sistema di illuminazione, ben più ricco e vivido, capace di restituire un senso di immersione e profondità del mondo di gioco assai più pronunciato, aumentando anche la resa qualitativa di diverse superfici caratterizzate da rifrazioni tra il realistico e il poetico (specchi d’acqua e tramonti si candidano per innumerevoli screenshot da postare sui social, ci scommettiamo!), nonostante qualche texture paghi un po’ pegno all’ambizione e alla vastità del prodotto proposto. In ultima analisi, anche il frame rate migliora le prestazioni rispetto al gioco precedente, forse come detto grazie all’ottimizzazione resa possibile dalla non-esistenza di una versione per Wii U, questa volta: il titolo scorre molto più fluido, con sporadici rallentamenti che al contrario di quanto accadeva in Breath of the Wild, non vanno ad inficiare l’esperienza da parte del fruitore. Un discorso a parte merita poi il comparto audio: la colonna sonora del titolo del 2017 era splendida, ma anche caratterizzata da un approccio assolutamente minimalista, che si potrebbe quasi definire ASRM, secondo il linguaggio degli odierni canali di comunicazione per dispositivi smart. In sostanza, erano più i suoni ambientali ad accompagnarci lungo l’esplorazione, che una vera e propria colonna sonora “extra diegetica”, per evidenziare al massimo il senso di immersione nel nuovo e sbalorditivo mondo di gioco, così ampio, aperto e ricco di possibilità di scelta. In Tears of the Kingdom, l’approccio muta leggermente, con note musicali più presenti, seppur sempre assolutamente delicate e rispettose del contesto, pronte però ad esplodere in tutta la loro caparbia potenza nel momento in cui sia necessario accompagnare momenti più concitati, siano essi emotivi o bellici. Il risultato è un maggior apprezzamento delle note create dalla fantasia dei compositori, tanto più che in realtà il design sonoro non ne risente minimamente e, anzi, appare ancor più curato che in passato. Per renderevi conto del sopraffino lavoro svolto dai programmatori per quanto riguarda l’implementazione ambientale degli effetti sonori, infatti, vi basteranno pochi minuti: prendetevi il tempo, nel primo ambiente chiuso nel quale Link si risveglierà, per prestare attenzione ad alcuni particolari come il diverso suono prodotto dal vostro avatar nel muoversi su superfici bagnate, piuttosto che asciutte, da scalzo prima e in seguito dopo aver indossato i primi calzari che vi verranno forniti. Per non parlare poi di tutto quello che sarà il comparto audio una volta giunti nei sotterranei del sottosuolo…Insomma, un plauso enorme, non soltanto alla OST, quindi, ma a tutto il design sonoro pensato per l’occasione.

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La recensione

9.5 Il voto

La perfezione non esiste, anche se Breath of the Wild è stato premiato più di 6 anni addietro con un bel 10/10 dalla nostra redazione, e per tanti aspetti (contenutistici e tecnici), il seguito è persino in grado di superare il predecessore. Preferiamo però tenerci un mezzo voto di scarto, per spingere uno dei team migliori della storia dei videogiochi a insistere e a spingere il brand verso vette sempre più alte, apparentemente irraggiungibili, con il prossimo inedito episodio. Tears of the Kingdom, in ogni caso, è perfetto per chiudere il cerchio di un viaggio entusiasmante a bordo di Nintendo Switch, dal 3 marzo del 2017 al 12 maggio del 2023: grazie Zelda!

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