LEGO 2K Drive: la recensione

Schiaccia il mattoncino..anzi il pedale dell'acceleratore: qui conta arrivare primi al traguardo!

C’era una volta…non tanto tempo fa e in una galassia vicina vicina, un sodalizio apparentemente inscindibile tra il famoso marchio LEGO e le trasposizioni videoludiche delle sue avventure, in salsa Traveller’s Tales e sotto egida Warner Bros: tantissimi i giochi proposti nel corso dei decenni e su più generazioni di piattaforme dei diversi marchi, sia ispirati a famosi franchise dell’intrattenimento a livello mondiale (in un gioco di matrioske di licenze che ha saputo regalarci l’ebbrezza di un gioco Marvel di proprietà Disney, sviluppato dall’acerrima concorrente DC Comics in quanto sussidiaria della WB appunto, il tutto condito dall’emblematica presenza dei famosi mattoncini del gigante danese del mondo del giocattolo), sia tratti direttamente dalle linee di maggior successo della stessa LEGO (come nel caso, ad esempio, del famoso e molto apprezzato LEGO City, esclusiva per Wii U e 3DS per diverso tempo). Un connubio talmente presente nell’immaginario collettivo, che ancora oggi si fatica a credere come quegli accordi commerciali in esclusiva siano ormai decaduti, liberando il marchio LEGO ad accordi molteplici, con diversi attori del panorama di programmazione videoludica mondiale, ciascuno pronto a proporre il proprio concetto di interpretazione digitale interattiva delle dinamiche di gioco mutuate dal primo tra i player del segmento “building set” a livello globale: una sorta di liberi tutti, che senza dubbio è destinato ad aumentare gli introiti di cessione dei diritti nelle casse della stessa LEGO (non più vincolata da un unico accordo-quadro con Warner Bros, appunto), ma che sta avendo come effetto principale di nostro interesse la proliferazione della creatività legata a questo mondo, con prodotti anche molto diversi tra loro in termini di genere di appartenenza e, conseguentemente, strutture ludiche primarie. Al di là, ovviamente, di una direzione artistica comune, indirizzata dal design degli stessi mattoncini e delle innumerevoli creazioni che, con essi, è possibile ottenere, applicando un pizzico di tenacia e tanta, tantissima fantasia. Ed è così che, dopo LEGO Brawls o LEGO Bricktales, ma non solo, arriva oggi tra le nostre manacce di recensori incalliti il nuovo di zecca LEGO 2K Drive: allacciate le cinture, si parte!

Essendo innanzitutto un titolo LEGO, ovviamente non potevamo mancare i…mattoncini! Una delle principali caratteristiche del gioco, infatti, risiede nell’ovvia ma comunque ampia e ben realizzata modalità di costruzione, con la quale (in modalità semi-libera, dipendente in particolar dalla varietà e dal numero di elementi a vostra disposizione per poter realizzare i vari modelli) il fruitore sarà in grado di procedere all’assemblaggio dei propri mezzi di trasporto. Il solo limite è la fantasia? Non proprio: l’interfaccia utente è fatta piuttosto bene, in molti casi semplice ed intuitiva, ma comunque ricca di possibilità e opzioni di costruzione, ma presto l’utente medio si scontrerà con due problematiche non sempre sorvolabili. Da un lato, in alcune occasioni la compenetrazione poligonale degli elementi costituivi e la gestione non ottimale della telecamera potranno finire per creare difficoltà interpretative sulla scena, soprattutto per quanto riguarda la posizione e il legame strutturale dei diversi pezzi con cui costruire il proprio veicolo (o velivolo, vista la possibilità ampia di personalizzazione e locomozione offerta dal prodotto qui esaminato); dall’altro purtroppo i mattoncini a nostra disposizione saranno inizialmente limitati e, cosa ancor meno piacevole, difficili da reperire. L’ampliamento delle nostre possibilità di assemblaggio, infatti, è legato sì ai progressi di gioco, secondo una logica di fruizione comprensibile e persino divertente e appagante, dando senso alle diverse gare da affrontare, ma anche (fin troppo, secondo la nostra esperienza) alle microtransazioni, con le quali (secondo dinamiche ormai di casa, in quel di 2K, come insegnano i loro prodotti a licenza ufficiale in ambito sportivo) poter agilmente aggirare i vincoli iniziali, ottenendo pezzi anche pregiati o rari coi quali sbizzarrirsi davvero. Insomma, il garage è divertente e, nell’insieme, ben realizzato, tanto in termini di gestione quanto di varietà e opzioni, ma alcune incertezze di controllo e una struttura troppo invasiva dell’espandibilità dei mezzi da sfruttare per esprimere le proprie idee azzoppano almeno parzialmente il tutto.

Una volta realizzato il vostro mezzo, ma tenendo sempre presente la possibilità di accedere al garage in qualsiasi momento si voglia, in pratica, potrete scendere in pista o, meglio, in strada: il titolo infatti vi metterà all’interno di un’ampia area di gioco all’interno della quale poter sostanzialmente spostarsi liberamente per esplorare e, in più di un’occasione, entrare in contatto con i tanti punti di interazione sparsi per la mappa. Secondo una struttura di approccio che in qualche modo ricorda un po’ Burnout Paradise e un po’ (il più ampio e ambizioso) Forza Horizon, infatti, il titolo vi mette al volante di un mezzo di trasporto all’interno di ambientazioni simil-open world lungo le quali incontrare missioni e gare da attivare a vostro piacimento. Una volta invece scesi davvero in pista, ecco che il gioco assume un tono e atmosfere diverse, molto più vicine ai gusti degli appassionati Nintendo che tanto bene conoscono e apprezzano un certo Mario Kart: l’approccio puramente sportivo, infatti, è fatto di poco peso delle vetture, scarsa propensione alla simulazione, con la ricerca volontaria e ovvia di un gusto più arcade, fatto di derapate e sprint repentini, sportellate e salti e chi più ne ha più ne metta. La sensazione è di una minor frenesia, rispetto al capolavoro della casa di Kyoto, anche per la mancanza di tutti quegli elementi distintivi mutuati dal Regno dei Funghi, tanto in termini di oggettistica quanto di ambientazione e personaggi, con un prodotto dalla personalità meno spiccata e dalla giocabilità meno profonda. La sua leggerezza, comunque, non denota superficialità e il titolo, da questo punto di vista, si fa apprezzare in modo piuttosto convincente.

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