Wavetale: la recensione

Viaggiamo sul filo delle onde, in questo affascinante mondo tutto da scoprire...e da salvare!

Esistono, nelle forme di rappresentazione artistica delle idee, alcuni crismi rappresentativi, carichi di significato e valore, capaci pertanto di catalizzare l’interpretazione del fruitore attorno a un insieme di concetti in maniera quasi immediata e, di conseguenza, capaci di far breccia presso un vasto gruppo di spettatori. Nell’ambito videoludico si tratta tanto di elementi narrativi quanto di fattori di interazione ludica, entrambi equiparabili per importanza comunicativa nei confronti del giocatore a vere e proprie colonne portanti, sulle quali basare l’intero assioma di interattività che sta alla base stessa del mezzo di comunicazione che tanto amiamo. Si tratta in pratica di icone, cioè significanti dai tratti comunemente definiti e pertanto riconoscibili sotto il profilo del significato, al di là del processo interpretativo del suo variegato pubblico, poiché fondati su caratteristiche ormai codificate. Spesso tale processo di modellazione di idee comuni vede però un precursore di tali contorni concettuali; un antesignano che quantomeno compartecipa alla codifica stessa di quei confini ideologici, attraverso una forza espressiva dirompente, che setta gli idiomi sui quali le icone verranno successivamente plasmate: elementi definenti, ancor prima che definiti, che saranno poi modello per il delinearsi futuro di quei canoni codificati che fungeranno da modello per tutte le opere a loro ispirate. In ambito vodeoludico, la saga di The Legend of Zelda è senza dubbio una di queste muse, e di esempi ne abbiamo visti e ne continuiamo a vedere ogni anno, sia a scaffale che sul Nintendo eShop. Non ultimo: Wavetale.

Il mondo di gioco è sommerso dalle acque, in un tempo lontano nel futuro, dove solo i più anziani ricordano come fossero le cose un tempo, prima che il mondo andasse avanti. Una pericolosa nebbia si aggira sull’infinito oceano, portando disperazione e perdizione e per tenerla lontano occorre utilizzare la luce luminosa del faro, da ricaricare con le pietre di luce sparse per l’isola. Il tutto stando sempre attenti alle orde di briganti che infestano i mari, ovviamente. Voi inizierete l’avventura nei panni di una giocane ragazza che, su una delle poche isole rimaste ancora popolate e capaci di preservare un barlume di civiltà, passa le sue giornate aiutando l’anziana ma in gambissima nonna, tra il porto e la spiaggia, tra il faro e le poche case in legno che costellano la scarna e scarsa superficie emersa dalle acque. Un incipit in qualche modo similare al recente Swordship, ma che ludicamente prende subito una piega molto diversa: atmosfere esplorative e puntelli narrativi ricordano senza dubbio le fasi iniziali di The Wind Waker, tanto più che come nel gioco Nintendo la normale quotidianità del piccolo borgo viene subito messa a repentaglio. Qualcosa va infatti subito storto, con la nebbia stranamente indifferente alla luminosità della vostra torre e una malsana tempesta pronta a mettere sotto sopra la quiete del villaggio. Un evento traumatico, da cui l’avatar riemerge poco dopo, intontito e stranamente lontano dalle rive sicure dell’isola, ma soprattutto…non più solo. E qui per fortuna il titolo si allontana dai semi della sua musa ispiratrice, per prendere una piega decisamente diversa e sena dubbio originale. Appena sotto il filo dell’acqua, infatti, il protagonista si specchia e rispecchia nell’immagine riflessa di un altro misterioso essere che sembra legato a noi, proprio dal pelo della superficie del liquido onnipresente, pronto a seguire come un’ombra o una marionetta ogni nostro più piccolo movimento: questa nuova e inaspettata presenza, grazie al legame specchiante che lega le due entità da qui in avanti, ci permetterà infatti di ottenere una specie di super potere, davvero molto utile in un mondo sommerso come quello di Wavetale.

Sin dalle battute iniziali, in pratica, verremo infatti messi nelle condizioni di sperimentare con la funzione di gioco primaria, cioè l’abilità di interazione tra fruitore e avatar che sta alla base della struttura ludica del prodotto: grazie all’ombra liquida che specchia la nostra immagine appena sotto il filo dell’acqua, infatti, potremo sostanzialmente surfare sul mare coi nostri nudi piedi, muovendoci con velocità e agilità insospettabili sull’intero oceano che circonda le pochissime terre emerse, per poi continuare imperterriti nel nostro movimento anche toccando il duro suolo, semplicemente correndo. Questo elemento, vista la connotazione di esplorazione ambientale di un mondo per certi versi simile a quello di Waterworld, si rivela fondamentale tanto per portare avanti l’intero processo di gioco, quanto per goderne appieno, vista la soddisfazione e il divertimento che derivano da un approccio rapido, fresco e sempre molto fluido, nell’affrontare un mondo ampio e vasto come quello ideato dagli sviluppatori. Una metodologia di “traversal” senza dubbio affascinante, per una lezione (rendere interessante l’approccio al movimento e allo spostamento in ambienti ampi, rendendo un piacere il fatto stesso di viaggiare tra gli scenari) anch’esso probabilmente mutuato sempre dalla saga di Nintendo, questa volta però dall’ultimo capitolo, quel Breath of the Wild che proprio di questo ambito ha saputo ergersi a pietra miliare nel genere. Con profonde e sostanziali differenze, però.

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