Void Terrarium 2: la recensione

Un solo essere umano, per di più in costante pericolo di malattia e morte: riuscirete a prendervi cura di lui, guidandolo alla sopravvivenza?

Nippon Ichi Software torna ancora una volta su Switch, secondo quella che ormai è un’abitudine tanto consolidata da potersi ritenere una tradizione. Tradizione nata con forza e convinzione proprio sulla console ibrida di Nintendo, sulla quale la casa di sviluppo ha puntato tutto sin da subito, con un cambio di direzione strategico a livello di impostazione commerciale decisamente inusuale ma lungimirante: si è cominciato con il più classico dei progetti (Disgaea) per poi dare libero sfogo anche a moltissime nuove IP, sfruttando la freschezza di vedute oltre che l’ampiezza quantitativa della fanbase dell’hardware di Kyoto in merito a direzioni estetiche e strutture ludiche estranee alle dinamiche dei soli progetti tripla A, esclusiva di poche software house al mondo. Non tutti i tentativi hanno attecchito, ma per una realtà medio-piccola del panorama nipponico anche numeri apparentemente mediocri possono in realtà rivelarsi sufficienti per rientrare degli investimenti, tanto da insistere con almeno alcuni dei nuovi marchi recentemente creati. Ed è così che si comprende e giustifica il secondo capitolo qui esaminato per questa serie, capace per altro di riscuotere un feedback più che discreto anche sotto il profilo della critica: ecco a voi, quindi, la nostra recensione di Void Terrarium 2: un titolo diviso in due fasi separate in maniera piuttosto netta, tra i dungeon fuori dal terrario e le fasi di interazione, dialogo e gestione all’interno dell’area sicura.

L’opera analizzata segue pedissequamente la struttura del precedente episodio, alternando due fasi di gioco principali, ben distinte e separate tra loro, secondo un ritmo di gioco chiaramente spezzato in due tronconi primari, partendo da un presupposto narrativo comune, anch’esso mutuato dal precursore di questa piccola ma preziosa proprietà intellettuale. In sostanza, ci ritroviamo ancora in un mondo dove l’umanità si è ormai estinta, fatto salvo per un ultimo essere umano, gravemente ferito e malato, ma ancora in grado di aggrapparsi al mondo dei vivi, a patto di restare all’interno di un terrario in cui le condizioni ambientali sono adatte alla sua sopravvivenza, o di restare collegati a specifici macchinari in grado di fornire il necessario supporto vitale. Un’esistenza fragile, appesa a un filo, di cui dovremo prenderci cura impersonando un piccolo ma servizievole robot il cui unico protocollo di comportamento sarà proprio indirizzato alla difesa e al mantenimento di questo essere vivente, letteralmente più unico che raro ormai, in questo contesto apocalittico e post-umano. Per farlo, dovremo alternarci lungo due attività strettamente interconnesse e collegate tra loro: da un lato, recuperare risorse fondamentali per fornire sussidio, dall’altro gestirle per creare materiali e oggetti da somministrare alla giovane e moribonda ragazza, proteggendone l’ambiente vitale in perfetto equilibrio. La gestione del Terrarum, infatti, è importante per due motivi: da un lato, prevede l’esecuzione pratica dei medicamenti e della somministrazione di medicinali o nutrimento nei confronti dell’ultimo essere umano sopravvissuto sulla terra, mettendone in moto anche il processo di guarigione e la conseguente evoluzione, in termini di NPC; dall’altro tutto questo processo di interazione tra il vostro avatar e l’oggetto delle sue attenzioni è al centro di tutto l’arco narrativo e, di volta in volta, sarà il vostro tornare nell’area sicura e il vostro prendervi cura della ragazza ad attivare gli snodi del racconto e a far progredire la vicenda. Una storia che è forse l’elemento più riuscito dell’intera produzione, grazia alla raffinata cura e delicatezza con cui si porta avanti una tematica forte e anche sconvolgente, scandita da momenti anche crudi (come il dover letteralmente riattaccare arti smembrati di questa fragile creature, tramite l’utilizzo delle cure mediche da voi recuperate in giro per il mondo) ma al contempo poetici.

Ma come vi sarà possibile recuperare le risorse di cui necessitate per riuscire a curare e guarire la povera ragazza? Ebbene, tramite la più classica delle esplorazioni di ambienti ostili e perigliosi: in dungeon, ovviamente! A metà tra un dungeon crawler e un rogue-lite, infatti, il gioco vi lancerà con pochi preamboli esplicativi al centro di momenti di scoperta ambientale in contesti irti di pericoli nascosti, al fine di recuperare elementi di vario tipo e natura da grotte e sotterranei popolati da creature nemiche, ma altresì ricchi di risorse imprescindibili, in questo contesto di emergenza. Dalla visuale laterale del Terrarium, l’inquadratura passa a un punto di vista isometrico a volo d’uccello, da cui poter governare e osservare il piccolo robot girovagare in queste ambientazioni oscure e misteriose, da scoprire gradualmente: a ogni nostro passo, infatti, in un angolo dello schermo vedremo formarsi un pezzo dopo l’altro la mappa che ci aiuterà a determinare la conformazione e la natura del piano del sotterraneo in cui ci troviamo, identificandone stanza e corridoi, ma anche avversari o, al contrario, tesori da recuperare. Avvicinandoci ai nemici, dovremo cercare di eliminarli in scontri corpo a corpo fatti più di frenetica reazione che di un vero e proprio sistema di combattimento, cercando di evitarli laddove possibile per preservare la nostra poca energia vitale. Dovessimo venire sconfitti, la nostra missione sarà fallita e dovremo ricominciare dall’inizio, ritrovandoci nel Terrarium a rifiatare prima del nuovo tentativo. Al contrario, se durante l’esplorazione riusciremo a trovare il passaggio verso il livello successivo, dovremo cercare anche nel piano superiore di resistere e raccogliere il maggior numero di risorse necessarie, fino al completamento dello specifico dungeon: una volta superati indenni tutti i livelli che lo compongono, ecco che ci ritroveremo sì nel Terrarium, ma forti del nostro successo. Un successo fondamentale non tanto per la gloria del robottino, quanto per la ritrovata capacità di sintetizzare vari tipi di medicine o nutrimenti con i quali prenderci cura dell’ultimo essere umano rimasto sulla terra.

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Il comparto tecnico del gioco è piuttosto semplice e, pertanto, ben performante. Nulla nella produzione di NIS va a spremere eccessivamente l’hardware di riferimento, ma proprio questa sua consapevolezza lo aiuta nel compito di riuscire a fornire un quadro di insieme appagante per l’occhio. Il risultato è ottenuto in maniera convincente soprattutto durante le fasi a scorrimento laterale che si svolgono nel Terrarium, dove la cura artistica tocca i picchi più alti, riuscendo con dovizia di particolari a trasmettere il senso di poetica precarietà che contraddistingue il presupposto narrativo dell’opera: sfocature, tinte pastello, animazioni delicate ne caratterizzano la riuscita agli occhi del consumatore. Meno raffinata appare invece la componente visiva durante i momenti di esplorazione nei dungeon: da un lato il cambio di visuale, dall’altro la realizzazione di un HUD fin troppo popolato e, pertanto, confusionario finiscono per inficiare a tratti la leggibilità dell’azione a schermo, abbassando un po’ il giudizio complessivo. Niente comunque di troppo eclatante, né in un senso né nell’altro, per un titolo che si presta tanto alla fruibilità a schermo televisivo casalingo che in modalità portatile, anche grazie alla sua doppia natura ludica e a tempi di caricamento non eccessivi.

La recensione

6.5 Il voto

La vena poetica ed artistica del prodotto è innegabile e si esprime in maniera forte e non banale all'interno del terrario e delle fasi di dialogo e avanzamento della complessa e delicata narrazione proposta; l'alternanza con le fasi più ludiche è ben accetta, ma queste ultime finiscono per risultare un po' troppo ripetitive, a causa dell'eccessiva superficialità dell'esplorazione delle mappe e del sistema di combattimento. Nel complesso, comunque, un'esperienza da provare.

Valutazione

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