Ni No Kuni II: Il Destino di un Regno: la recensione

Il fascino di un mondo misterioso torna su Switch con il secondo episodio della saga Level5

Tanti anni fa esisteva una console atipica, capace di stimolare grazie alla sua fantasiosa conformazione l’immaginazione di tanti giocatori, ma anche di numerosissimi sviluppatori. Era il Nintendo DS, con il suo doppio schermo, il touch e il pennino a farla da padroni nell’interazione tra fruitore e mondo di gioco. Tra i personaggi più ispirati, c’era senza dubbio il capo di Level5, quell’Hino capace di sfornare nel giro di pochi anni prodotti originali del calibro si Professor Layton e Inazuma Eleven, proprio basandosi sulle caratteristiche tipiche della console di riferimento. Tra le varie operazioni di questo team di sviluppo c’è stato anche un gioco di ruolo apparentemente molto classico, dalla grande direzione artistica (grazie anche alla collaborazione con lo studio Ghibli) e con un piccolo segreto: un sistema di lancio degli incantesimi necessari per proseguire nel gioco basato sulla reale possibilità del giocatore di scrivere i simboli magici sullo schermo della console. Questo progetto restò purtroppo confinato al solo Giappone, con la dostribuzione occidentale della sola versione casalinga (più tradizionale nel sistema di controllo), approdato qualche mese fa anche su Switch. Quel mondo di fiaba ritorna ora con il seguito ufficiale, finalmente disponibile per la console ibrida di Nintendo.

Ni No Kuni II: Il Destini di un Regno si muove in continuità con il primo capitolo sotto svariati punti di vista, ma al contempo se ne discosta in maniera significativa. Il presupposto narrativo parte dalle medesime premesse, basate sull’esistenza di un mondo parallelo al nostro, evolutosi in modo differente, prediligendo magia e natura, contrariamente al nostro dove tecnologia e urbanesimo hanno deturpato il pianeta in maniera irreversibile. Molti di noi possiedono un proprio equivalente del mondo fatato, popolato però anche da numerose razze e creature che definiremmo fantastiche, in un ecosistema di flora e fauna che sembra uscito da un libro delle mille e una notte (reinterpretate ovviamente in chiave orientale), ma pur sempre capace di mantenere più di un legame con il nostro piano di esistenza. Ed è proprio uno dei personaggi pubblici più importanti e famosi del nostro mondo (una sorta di Presidente degli Stati Uniti) che, durante un attacco terroristico a una delle città della sua nazione, viene inconsapevolmente trasportato nella magica città di Gatmandù. Solo per scoprire che anche il sovrano di quel regno è sotto attacco, tradito dagli altri consiglieri del suo governo dopo la morte (non per malattia, bensì per avvelenamento) di suo padre, sovrano legittimo, per mano di scagnozzi di una razza avversaria. Nei panni di Roland (l’adulto proveniente dal nostro mondo), ci troveremo ad aiutare il giovane Evan a scappare dall’imboscata dei suoi nemici, per poi iniziare l’avventura vera e propria: andare alla caccia di un essere fatato grazie ai cui poteri poterci riappropriare del trono sottrattoci con l’inganno e la violenza.

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Le differenze però sono davvero molte, rispetto al primo capitolo, e non tutte positive. Anzi. Partendo proprio dalla narrazione, il canovaccio apparirà molto più banale, semplificato e già visto, rispetto al senso di meraviglia e scoperta che caratterizzavano l’opera precedente, complice anche la mancanza delle splendide scene animate dallo Studio Ghibli, qui sostituite da cut scene con il motore di gioco, prive della medesima grazia e della sapienza registica viste in passato. Anche i personaggi, vuoi per scrittura dei dialoghi, vuoi per carisma infuso dagli sceneggiatori, faticano a conquistare il cuore del fruitore, sospinto a continuare a seguirne le gesta forse più dal mondo di gioco che dagli avvenimenti che lo caratterizzano in questo seguito. Ma anche qui non mancano le note dolenti. Il titolo, infatti, mantiene fortissima la vena artistica tipica della serie nel proporre scenari e creature fantastiche, grazie a una convincente direzione artistica capace di mettere in scena un universo senza dubbio accattivante, dagli scorci e dalle trovate ammalianti. Eppure, qualcosa stona anche per quanto concerne il colpo d’occhio, nella visione d’insieme di Ni No Kuni II, e il tutto è probabilmente legato a una complicata e zoppicante amalgama stilistica. Sì perché il gioco, pur rappresentando un passo avanti rispetto al primo capitolo sotto il profilo della complessità tecnica (con ambienti più ampi, particolareggiati e ricchi di elementi, sia nei dungeon che nell’overworld), pecca in quello che diversi anni fa (su PlayStation3 in particolare) era un errore tipico di molte case di sviluppo giapponesi: farsi trarre in tentazione dalle nuove possibilità tecniche, tralasciando la direzione omogenea della rappresentazione. Il toon shading molto cartoonesco scelto (con ragione) per “disegnare” gli esseri viventi di questo mondo di fiaba, infatti, cozzano decisamente con l’utilizzo (onestamente incomprensibile) di texture ultra-realistiche sparse qua e là lungo il mondo di gioco, in maniera apparentemente casuale e comunque per lo più fuori luogo. Un peccato, perché il risultato lascia solo intravedere quanto avrebbe potuto essere appagante questa produzione, se si fosse mantenuta più dritta la barra artistica da parte di Level5.

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Commenti 2

  1. Paolo Luca says:

    Il primo è stato noiosissimo, non sono mai riuscito a riprenderlo.

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