Metroid Prime Remastered: la recensione

La prima, storica avventura tridimensionale di Samus Aran torna in tutto lo splendore suo e dell'alta definizione per Nintendo Switch: siete pronti a imbarcarvi in un'epopea capace di segnare un'intera epoca?

Era il novembre 2022 quando Nintendo stupì il mondo con l’uscita di Metroid Prime: gioco sviluppato, in maniera anomala per la tradizionalissima casa di Kyoto, in collaborazione con un team americano semi sconosciuto (Retro Studios), capace di riproporre come protagonista la famosa cacciatrice di taglie intergalattica Samus Aran, dopo un’intera generazione di limbo (visto che nessun gioco della saga aveva lambito i lidi del Nintendo64) e, soprattutto, progetto ambizioso nel trasportare la classica avventura a scorrimento bidimensionale in ambito 3D (come avvenuto con grandissimo successo anni prima sia per Mario64 che per The Legend of Zelda: Ocarina of Time), addirittura spostando la visuale in prima persona, con dinamiche almeno superficialmente riconducibili al genere first person shooter. Il titolo richiamò a sé l’attenzione del pubblico (per quanto consentito dal limitato potenziale commerciale della console), ma soprattutto della critica e degli appassionati: l’impronta cinematografica, le atmosfere coinvolgenti, la cura dei minimi dettagli ma anche e soprattutto l’enorme sforzo profuso nel programmare tanto il sistema di controllo tarato attorno all’avatar nel più piccolo particolare, quanto ambientazioni e mondi assolutamente verosimili nella loro biodiversità di fora e fauna seppero conquistare il cuore di tutti. Aggiungeteci una giocabilità talmente raffinata e carica di personalità da trascendere la normale denominazione di “fps“, arricchita da elementi platform, progressione graduale dell’esplorazione ambientale e da un ritmo di gioco più avventuroso che bellico, ed ecco che il gioco è fatto: il miracolo fatto nella generazione precedente con Mario e Link si ripete con Samus che, entrando nella terza dimensione, ridefinisce il canoni del genere di appartenenza, ideando persino l’acronimo di “fpa” (first person adventure). Il panorama dei giochi in prima persona non sarà più lo stesso perché un nuovo termine di paragone è stato introdotto sulla scena, ancora una volta da parte di Nintendo.

In Metroid Prime, l’attenzione di Samus viene richiamata da una misteriosa nave aliena abbandonata nell’orbita del pianeta Tallon IV. Dopo aver attraccato con la propria navicella sul ponte di questa astronave, la cacciatrice di taglie scoprirà come il mezzo di trasporto intergalattico sia stato teatro di un qualche tipo di incidente, presumibilmente dovuto a una qualche forma di incidente tra i Pirati Alieni (che ancora infestano l’area, anche se i più in condizioni gravi, riportando importanti ferite di varia natura) e le creature oggetto di misteriosi esperimenti con una sostanza denominata Phazon. Districandosi tra i cunicoli e i corridoi della nave, gravemente danneggiata, la nostra eroina finirà per incappare nelle prime grosse difficoltà che la vedranno costretta a ricorrere a tutto il suo arsenale, pur di sopravvivere e sconfiggere gli inaspettati pericoli che incombono su di lei. La prima fase di gioco si conclude quando, in fuga dall’astronave, Samus salirà a bordo del proprio mezzo di trasporto per atterrare su Tallon IV, per salvarsi la vita ma anche per scoprire il mistero di questa nuova e minacciosa sostanza e delle entità che si celano dietro il suo sconsiderato utilizzo. L’atterraggio non sarà dei più semplici e la cacciatrice di taglie si troverà improvvisamente sprovvista della maggior parte dei potenziamenti della sua tuta, sperduta in un ambiente sconosciuto e ostile. Ed è a questo punto che l’avventura ha davvero inizio: se sulla nave infatti avendo a disposizione ogni tipo di gadget per il nostro armamentario, il gioco ci guida in uno dei tutorial più riusciti della storia del mezzo di intrattenimento digitale (essendo altamente coinvolgente grazie alla cura riposta sul versante tanto grafico quanto sonoro, senza contare come tutto risulti fortemente implicito nel tessuto stesso della giocabilità ma al contempo mai ermetico, nella comprensione da parte dell’utente, nonostante l’enorme balzo tecnologico e concettuale rispetto a Super Metroid), sulla superficie del pianeta le nostre capacità verranno invece messe davvero alla prova. Il gioco resterà sempre in perfetto equilibrio tra il silenzio (intra ed extra diegetico) di molte fasi e l’enorme mole di informazioni che il mondo di gioco continua a trasmettere all’utente, sotto forma di elementi contestuali e interattivi. Inutile dire che tutto questo contribuisce in maniera preponderante nell’affermare Metroid Prime come una pietra miliare del senso di coinvolgimento ed immedesimazione videoludica: un valore che resta elevatissimo ancora oggi, a vent’anni di distanza dalla sua prima uscita, in questa edizione per Nintendo Switch.

La capacità di farvi davvero sentire di stare indossando i panni (o meglio, l’armatura) della protagonista dell’avventura è forse il fiore all’occhiello di tutta la produzione (sia originale che rimasterizzata), e non è frutto di un unico elemento, quanto di un insieme di concause che partecipano alla realizzazione di questo straordinario effetto di immedesimazione. Uno dei più importanti è senza dubbio il raffinato studio dell’HUD, cioè di tutti gli elementi informativi destinati al fruitore, sovrapposti a schermo come se fossero le proiezioni offerte sulla visiera di Samus stessa: la visuale in prima persona assume quindi un valore comunicativo e ludico di altissimo livello, laddove anche il giocatore potrà orientarsi nella lettura di questi scenari alieni grazie a icone, simboli, barre e scritte a schermo, come se stesse realmente indossando il casco dell’equipaggiamento dell’avatar, enfatizzando ancor di più questa sovrapposizione tra mondo reale e virtuale grazie alla valenza fuori dal comune che Retro Studios ha attribuito a questa componente. Da un lato, infatti, il mondo di gioco è cosparso di elementi scannerizzabili per ottenerne analisi e informazioni, spingendovi a utilizzare il visore scan a spron battuto, calandovi ancor di più, e in maniera continua e costante, all’interno dell’universo diegetico costruito dal team di programmatori. Non solo per curiosità o senso di completamento (essendo questi elementi una sorta di collezionabile, con tanto di % di riuscita a fine partita), ma in più di un’occasione per necessità puramente ludiche: vuoi per scovare un elemento ambientale altrimenti nascosto, ma necessario per proseguire verso nuove aree di gioco; vuoi per identificare i punti deboli di alcune creature ostili; vuoi per indagare le ambientazioni alla ricerca di un qualche indizio che ci aiuti ad analizzare più a fondo ciò che ci circonda e, conseguentemente pianificare i nostri successivi passi in una direzione, piuttosto che in un’altra. Ma non finisce qui: lungo l’avventura sarà infatti possibile (o meglio: necessario) recuperare diverse tipologie di visore che, di volta in volta, si riveleranno fondamentali per la prosecuzione della storia, o per scopi esplorativi, o per fini bellici, legati agli scontri con determinati nemici. Insomma, i giochi in prima persona esistevano anche prima del 2002, ma da allora questa inquadratura ha fatto capire al fruitore un valore aggiunto dato dallo spostamento all’interno del punto di vista dell’avatar stesso, ancora oggi forse ineguagliato. Un connubio tra punto di vista ed elementi di interpretazione del mondo digitale che si intrecciano in maniera indissolubile anche con il ritmo stesso dell’avventura: la necessità del giocatore, figlia della volontà dei programmatori, è infatti quella di muoversi in maniera piuttosto verosimile in questi ambienti sconosciuti e alieni, evitando di passar loro attraverso senza batter ciglio, spediti come una macchina da guerra. L’esplorazione è pensata e ogni decisione va soppesata, prendendo spunto degli indizi ambientali, studiando la mappa tridimensionale, valutando il proprio armamentario e il proprio equipaggiamento, per comprendere passo passo quali pericoli siano affrontabili e quali ancora siano al di fuori della nostra attuale portata; quali scorciatoie non siano ancora raggiungibili; quali sentieri siano da battere in ogni frangente: il tutto si traduce nella classica giocabilità “metroidvania”, con ritmo meno frenetico e più ragionato rispetto ai normali “fps“, tanto appunto da poter definire Metroid Prime come un vero e proprio “fpa“, ridefinendo anche un intero genere.

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