Bomb Rush Cyberfunk: la recensione

I fasti di una volta, interpretati in maniera così moderna da risultare persino capaci di superare il maestro e l'originaria fonte di ispirazione

C’era una volta una console targata SEGA, capace di ergersi tanto a icona del completo fallimento commerciale della gloriosa casa di produzione anche hardware proveniente dal Sol Levante, quanto a simbolo di un’eccellenza creativa ed artistica sul versante software assolutamente invidiabile. Stiamo parlando ovviamente del Dreamcast, che segnò l’uscita di SEGA dal versante console, ponendosi come vero e proprio spartiacque tra la prima era e l’epoca moderna per questo famoso marchio, arrivando però ad offrire un campionario di giochi davvero impressionante per qualità complessiva, ma soprattutto per varietà ed originalità, tanto da essere vista ancora oggi come punto di riferimento in ambito di coraggio ed ambizione, pietra di paragone agli occhi di tanti appassionati, da prendere ad esempio per auspicare altrettanto slancio da parte degli odierni attori del settore. Leggende narrano come, consci ormai del fatto che la divisione hardware fosse destinata a fallire, i vertici dell’azienda insistettero fino al limite e oltre delle proprie disponibilità economiche e immaginative nell’infondere agli ultimi prodotti software quanto più fascino possibile, per imprimere nelle menti dei consumatori l’immagine di una compagnia imprescindibile, per l’industria tutta, nonostante l’imminente e tragico declino sul versante console. E fu da lì che videro la luce degli scaffali progetti ambiziosi, originali e così bizzarri da porsi come veri e propri precursori come Shenmue, Skies of Arcadia, Phantasy Star Online, Sonic Adventure, Samba de Amigo, Space Channel 5, Ikaruga, Rez, Crazy Taxi e tanti altri ancora…tra i quali ricordiamo tutti ovviamente anche Jet Set Radio.

Jet Set Radio è ancora oggi un titolo talmente particolare da non riuscire ad essere definito all’interno di un genere specifico, avendo sostanzialmente inventato lui stesso un approccio al gaming del tutto inedito, originale a tal punto da risultare fresco e contemporaneo ancora oggi a svariati anni dal suo lancio sul mercato. Si trattava infatti di una sorta di open world ante litteram, composto più che altro da grandi aree esplorabili, caratterizzata da un approccio molto free roaming, in cui le diverse arene urbane assumevano il compito di diventare un grande skate park grazie ad una ampia libertà decisionale lasciata nelle mani del fruitore, arricchita da un elevato grado di interattività ambientale, che finiva per trasformare molti degli elementi presenti in appoggi sui quali eseguire i più svariati e folli trick con i propri pattini in linea. Una camera non sempre ottimale nella gestione dell’adrenalinico e continuo movimento del vostro avatar a una cornice narrativa sostanzialmente assente, data la natura prevalentemente arcade del progetto, rappresentavano i limiti oggettivi di un viaggio psichedelico sorretto da una direzione artistica molto street, ancora oggi punto di riferimento per opere successive come The World Ends with You, piuttosto che il recente Hi-Fi Rush o, appunto, il coraggioso ed ambizioso titolo indie esaminato qui oggi sulle nostre pagine: Bomb Rush Cuberfunk.

Bomb Rush Cyberfunk è un remix della cultura Hip-hop caratterizzato da graffiti, skating e beat musicali proprio come l’antesignano made in SEGA, in cui i giocatori pattinano attraverso i cinque quartieri principali di New Amsterdam per raggiungere e conquistare i migliori spot per i graffiti, sfidare le crew rivali e guadagnare territorio per diventare la migliore cricca della città. Il fulcro dell’esperienza è infatti insito in questa estrema libertà di movimento all’interno delle aree ideate dagli sviluppatori, ciascuna tendenzialmente governata da una banda rivale da affrontare a suon di opere d’arte di strada, senza farsi mancare anche alcune componenti più platform o addirittura action, soprattutto contro i “boss” che si pareranno dinanzi a voi, lungo il percorso tanto esplorativo quanto narrativo. La continua alternanza tra cut scene, free roaming acrobatico e combattimenti è una delle caratteristiche che evidenziano la voglia, da parte di questa opera indie, di tributare Jet Set Radio ma proponendo una propria interpretazione del concetto di intrattenimento, proponendosi con una maggior varietà, una discreta alternanza di situazioni e, più in generale, con un costrutto meno improntato alla fruibilità spensierata e superficiale di un progetto puramente arcade e capace di focalizzarsi su una fruizione forse in qualche modo più matura. Non che la cornice del racconto tocchi vette inarrivabili di elevati picchi qualitativi, o che il sistema di combattimento non faccia un po’ a botte con la gestione della telecamera, ma la volontà di modernizzare lo scheletro dell’esperienza c’è, la conoscenza dei canoni è di buon livello e lo stile trasuda tanto sul versante cromatico, quanto sotto il punto di vista linguistico, con un esercizio di stile piuttosto riuscito, quantomeno agli occhi anche di un pubblico più moderno.

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