Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes: la recensione

L'erede spirituale di Suikoden è finalmente qui, pronto a trasportarvi in un'epica e classica avventura di stampo JRPG sulle vostre Nintendo Switch!

Gli ultimi dieci anni sono stati davvero ricchi di novità, all’interno dell’industria del videogame, per svariati motivi che ne hanno caratterizzato l’andamento complessivo in termini di mercato, sia sotto il versante finanziario, che strutturale, con profonde ricadute anche in ambito creativo; processi complessi, capaci di influenzare l’intero mercato, con correnti che apparentemente si sono mosse in una direzione, ma sempre all’interno di un contesto comune e di confini condivisi con una moltitudine di realtà coesistenti, così da generare reazioni a volte persino contrarie e finendo per generare floride iniziative anche laddove inizialmente si potevano temere contraccolpi prevalentemente negativi e viceversa, in un panorama mutevole e in costante evoluzione, sempre sostenuto tanto da investimenti a tratti persino spropositati, quanto da profonde e inspiegabili moti passionali. Se da un lato della barricata assistiamo ormai da tempo a espansioni sempre più strabilianti di team e publisher attraverso acquisizioni, accorpamenti e aumento di personale e budget a dir poco gargantueschi (pensiamo agli anni di sviluppo, al numero di sviluppatori, ai paesi e continenti spesso coinvolti simultaneamente alla realizzazione di titoli così detti tripla A sotto etichetta Ubisoft, Take-2, Electronic Arts), con processi di accentramento di forza lavoro assegnata spesso a un numero limitato di brand, a dinamiche di gioco standardizzate, puntando tutto sui valori grafici di produzione e sulla proposta costante su base annuale di veri e propri franchise, dall’altro abbiamo infatti potuto anche osservare da vicino, traendone grande soddisfazione, all’esplosione di un florido panorama indipendente, caratterizzato da piccole realtà libere di esprimere la propria quasi personale visione del medium. Ma non solo: perché questo si è accompagnato, o è stato reso possibile, da tante concause, al lavoro simultaneamente per realizzare tanti piccoli o grandi sogni: la diffusione dei tool di sviluppo middleware ha aperto le porte alla realizzazione di asset più che interessanti a poco costo, approcciabili anche da team di programmazione numericamente limitati; le dinamiche di acquisto online ormai normalizzate hanno visto le vetrine virtuali degli store online diventare una realtà ben più che concreta per tutti, abbattendo anche i costi di pubblicazione e distribuzione fisici; l’utilizzo sempre più radicato in tanti aspetti della vita di milioni di persone dei social media ha spalancato la via della promozione diretta a basso costo delle fatiche derivante dal duro lavoro anche di piccole realtà. Ma, accanto a tutto questo, si è anche sviluppato un fenomeno in qualche modo parallelo: quello degli eredi spirituali finanziati tramite crowdfunding.

Il processo è ormai piuttosto radicato e ha visto esponenti davvero illustri: parliamo di grandi nomi del mercato che, dopo anni di esperienza lavorativa presso determinate case di sviluppo, sovente al timone proprio di alcune serie specifiche, hanno scelto di loro volontà o meno di allontanarsi da quel contesto, sfruttando la propria popolarità presso gli appassionati per racimolare somme di denaro anche ingenti, al fine di portare a termine progetti indipendenti che poggiassero le loro fondamenta esattamente sugli stilemi caratteristici dei titoli da loro supervisionati (se non addirittura proprio creati) dalla loro capacità creativa e gestionale, nel corso degli anni. Pensiamo ad esempio a Keiji Inafune, famosissimo per la gestione di Mega Man presso Capcom, con il lancio nel 2016 del suo (deludente?) Mighty N°9, piuttosto che al controverso (per quanto concerne la gestione tecnica della versione Switch, poi supportata però in maniera adeguata se non egregia con svariati aggiornamenti nel corso del tempo) Bloodstained: Ritual of the Night di Igarashi, capace di ricreare in maniera molto fedele e con adeguati valori di produzione le atmosfere del famosissimo Castlevania di Konami, trasportando la grande esperienza del responsabile verso nuovi e più liberi confini di manovra. Il tutto senza dimenticare un caso ancora più particolare, rappresentato dal terzo episodio di Shenmue, in cui il creatore originale è riuscito persino ad ottenere dal publisher SEGA la possibilità di sfruttare il marchio e svariati elementi della serie iniziale, proponendone un terzo inedito capitolo ufficiale, passando però attraverso i canali di finanziamento diretto da parte degli appassionati, pur di concludere (?) l’epopea iniziata molti anni prima sull’amato e mai dimenticato Dreamcast. Il tutto ci porta al 2020, anno in cui i creatori di Suikoden (esautorati da Konami) decidono di lanciare la sfida e chiedere il supporto del crowdfunding per portare sugli schermi di tante console contemporanee un erede spirituale, sotto il nome di Eiyuden Chronicle. Dopo anni di attesa, il prodotto è finalmente tra le nostre avide e curiose mani.

Per capire fino in fondo di cosa stiamo parlando nel caso di Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes dobbiamo fare un passo indietro. Trattasi del passion project di un team di veterani che, a fronte delle decisioni aziendali della compagnia cui appartenevano, hanno visto i loro sogni infranti, sentendosi additare come ormai fuori mercato. Da qui, tra necessità e virtù, l’idea di proseguire in maniera autonoma, vuoi per portare a casa la pagnotta, vuoi per un certo senso di rivalsa. Da qui possiamo meglio comprendere la mission dichiarata del progetto, per stessa esplicita ammissione dei programmatori: Eiyuden Chronicle non è solo un rivisitazione dei classici JRPG degli anni ’90; è un sincero tributo che li onora con meccaniche di gioco e design che riecheggiano deliberatamente l’epoca, piuttosto che seguendo le moderne tendenze dei JRPG attuali. Come vedremo, nel bene e nel male. Ma va capito come questo gioco sia stato realizzato per consentire verso il genere, con particolare riguardo agli stilemi che lo hanno caratterizzato fino allo scorso decennio e insistendo su alcuni dei crismi tipici in particolare della serie Suikoden. D’altronde, Yoshitaka Murayama (Presidente, CEO e responsabile dello studio) è proprio il creatore della serie di giochi di ruolo Konami; Junko Kawano (Illustratore/Disegnatore di personaggi) ha diretto la serie dopo la dipartita del suo attuale collega; Junichi Murakami (produttore/direttore artistico) è noto ai più come regista di Castlevania: Aria of Sorrow; Osamu Komuta (Direttore del gioco) è stato responsabile del bel capitolo Suikoden Tierkries. Insomma, un team dal grande palmares, incentrato primariamente proprio attorno a quella casa di sviluppo e a quel brand specifico. E da questo attaccamento, intrigante ma potenzialmente ossessionato, emergono pregi e difetti del progetto oggi sotto la nostra lente d’ingrandimento. Sul versante degli impatti positivi troviamo non pochi elementi: da un lato, il criterio che dona persino il nome al gioco e cioè quell’elevatissimo numero di eroi potenzialmente reclutabili per entrare a far parte del vostro party di gioco e combattimento: fino a ben 100 diversi personaggi, le cui storie e azioni danno impulso al progredire della storia, risultando spesso anche piuttosto diversificati tra loro (sia per quel che concerne il design, che per quanto riguarda gli elementi narrativi, senza contare le abilità di combattimento di ciascuno ovviamente). Dall’altro la sempre apprezzata decisione di optare per l’uso di moderne tecnologie di renderizzazione grafica di un approccio estetico classico, che sovrappone sprite a poligoni, sfrutta effetti di luce e rifrazione accanto a illustrazioni a mano e riesce nel complesso a proporre un vivido mondo JRPG carico di qualità tutta da esplorare, grazie alla sapiente direzione stilistica che fonde perfettamente 3D e 2D (in qualche modo, seppur con una nota artistica senza dubbio diversa, paragonabile agli sforzi messi in piedi negli ultimi anni da Square-Enix con la linea HD2D o l’approccio visivamente ibrido di Star Ocean Second Story: R). Il terzo campo in cui l’adesione quasi ossessiva a Suikoden porta i suoi frutti è poi quello del sistema di combattimento: battaglia rigorosamente a turni ma coinvolgente grazie a dettagli strutturali profondamente strategici che sapranno semplicemente conquistarvi nel giro di pochi incontri, fornendo il piacere della lotta a ogni piè sospinto. Vediamo i punti di forza del battle system, passo passo: prima di tutto, vista l’ampiezza del roster, il primo snodo risiede nella selezione dei personaggi da affiancare gli uni agli altri, a seconda anche di come le caratteristiche di combattimento si leghino tra loro; in seconda analisi, sulla base di queste abilità, dovrete anche costruire la struttura della vostra formazione, posizionando ogni personaggi in prima o seconda linea, in relazione alle possibilità sia di attacco che di difesa nei confronti delle due linee avversarie; infine il grado di personalizzazione, tanto per i possibili armamenti ed equipaggiamenti disponibili per variare le statistiche di gioco quanto per le lenti runiche aggiunte dal team per l’occasione, è significativo e porta con sé una buona dose di implicazioni concrete, da non sottovalutare. Una volta scesi poi sul campo dello scontro, il tutto si svolge a turni, ma ponendo una grande attenzione alla barra che, nella parte alta dello schermo, visualizza in quale ordine avverranno i vari attacchi, tanto vostri quanto avversari, sulla base delle statistiche di iniziativa e rapidità, potendo/dovendo quindi strategicamente indirizzare gli attacchi di tutto il vostro party a seconda anche della cronologia attesa dello scorrere degli eventi, una volta avviata la battaglia. E attenzione: non tutti i personaggi sul terreno potranno attaccare chiunque nello schieramento avversario, vista la differenziazione tra prima e seconda linea di posizionamento incrociata con la capacità di attacchi corpo a corpo, contrapposta a quella di attacchi a lunga gittata. Niente in Eiyuden Chronicle avviene a caso né per caso.

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