World’s End Club: la recensione

Tutt'altro che la fine del mondo.

Pur non essendo un avido consumatore di visual novel, quando a febbraio è stato annunciata una collaborazione tra i creatori di Danganronpa e Zero Escape, essendo quest’ultima una delle mie serie preferite dell’era DS/3DS, non potevo non essere quantomeno incuriosito. Poi ho visto il trailer, e devo ammettere che l’eccitazione si è un po’ smorzata: a preoccuparmi era anche l’idea che il gioco fosse pensato per Apple Arcade, però poi ho pensato ai tanti giochi di qualità con la stessa provenienza sbarcati su Switch, quindi volevo ancora dare fiducia al duo Kazutaka Kodaka/Kotaro Uchikoshi. Purtroppo, i miei timori si sono rivelati fondati, benché World’s End Club non sia in fondo un gioco da buttare completamente.

Il gioco si apre dalla fine, ovvero quando un gruppo di ragazzini delle elementari viene spazzato via da un’oscura creatura minacciosa. Stacco sui titoli di apertura in stile anime: i toni cambiano decisamente e scopriamo che i giovani di prima fanno parte del Club dei Temerari. Sembra una normale gita in pullman nell’estate del ’95 quando fuori dai finestrini appare un meteorite in caduta libera sulla città di Tokyo. I 12 si risvegliano misteriosamente da una serie di capsule situate in un bizzarro luna park subacqueo: a dar loro il benvenuto Pielope, un colorato robot che dà il via al “Gioco del destino”.

I ragazzi hanno un’ora di tempo per uscire da una porta (che fa tanto Zero Escape) la cui chiave sarà data solamente a colui o colei che riuscirà a raggiungere il suo obiettivo. Tutti quanti hanno infatti un particolare bracciale al polso (che fa tanto Zero Escape) con uno schermo che indica l’obiettivo di un’altra persona. Il bello (e il crudele) del Gioco sta infatti nel non sapere cosa si debba fare per salvarsi, bensì cosa bisogna evitare che qualcun altro faccia nel corso dei 60 minuti a disposizione. Un’alternativa per raggiungere la vittoria è anche rimanere gli unici superstiti, dato che i giocatori che non sono più materialmente in grado di raggiungere il proprio obiettivo vengono catturati da un robot capace di liquefare qualsiasi cosa.

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Comincia così tutta una serie di alleanze e tradimenti in questo che Gioco che, come all’improvviso, sembra aver fatto risvegliare nei membri del Club dei Temerari un inquietante istinto di sopravvivenza, anche a scapito dei loro più cari amici. Non voglio svelarvi troppo per non rovinarvi la sorpresa ma, come avrete immaginato, dietro a questo meccanismo ci sono piani molto più grandi e pericolosi. E sebbene il livello di interazione e di scelta in questa fase sia piuttosto limitato, bisogna ammettere che questa sensazione di isolamento e di incombente minaccia ben nota agli appassionati delle due serie di riferimento, funziona abbastanza bene. Peccato che dopo la prima ora, alla conclusione del Gioco del destino, l’avventura prende una piega completamente diversa.

Usciti dal parco divertimenti, quello che li attende è un panorama completamente disabitato, con la natura lasciata liberamente a fare da onnipresente arredo urbano. Dopo un’iniziale incredulità (com’è possibile che da un momento all’altro siano spariti tutti quanti?!), il gruppo decide di mettersi in viaggio per tutto il sud del Giappone nel tentativo di tornare a Tokyo, dove si trovano le loro famiglie. Tuttavia, non è facile mettere d’accordo 12 persone, e quindi ben presto viene fuori una delle più grandi passioni del gruppo: dividersi. Ad ogni tappa si trova sempre un buon motivo per separarsi e proseguire per due strade diverse. Ovviamente ai fini del gioco questo aiuta a conoscere più da vicino gli altri membri della gang, anche se questa rappresenta solo una delle molte scelte discutibili cui dobbiamo assistere durante l’avventura.

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