Happy Game: la recensione

Why so serious? Oppure no..? Disturbo e divertimento possono convivere? Scopriamolo assieme ad Amanita Design (quelli di Machinarium, per capirci!)

Amanita Design è uno studio indipendente che si è ritagliata la sua fetta di appassionati grazie a una impostazione assolutamente chiara: non interessano le dinamiche del mercato di massa, ma al contrario è importante esprimere un proprio messaggio, un proprio contenuto, una propria estetica. In breve, una propria visione del mezzo di intrattenimento interattivo denominato videogame. La dichiarazione di intenti era evidentemente esplicita già in Machinarium, l’opera che li ha portati alla ribalta del panorama console nel corso degli anni passati, e si fa ancora più intransigente con la loro ultima fatica: quell’Happy Game pronto a farvi riflettere su felicità, ansie, gioie e paure, sullo schermo delle vostre Nintendo Switch.

Il titolo in questione conferma alcuni dei capisaldi di questo approccio, che potremmo ormai definire tipico e distintivo del team di sviluppo: un’avventura grafica, a tratti addirittura punta & clicca, in cui l’interazione tra avatar e mondo di gioco è fortemente scriptata e decisa dal game design, che ci prende per mano, pur lasciandoci la libertà di sperimentare, per poter proseguire nell’arco narrativo di quanto messo a schermo. Scordatevi “l’open world”, la “sequence break” o altri concetti (apprezzabili, per carità) tanto cari alle maggiori produzioni dall’alto budget dei publisher più significativi del panorama odierno dell’intrattenimento digitale: in Happy Game dovrete per forza capire quale fosse l’idea del creatore, cosa lui si aspetti da voi e per proseguire sarà necessario entrare nella mente del protagonista, avatar più del designer che del fruitore.

Happy Game è il nuovo gioco di Amanita Design - Game Universe

Soltanto che entrare in questa mente non sarà affatto facile, né piacevole. Ma in senso buono: il gioco ci chiederà di provare a intuire, anche attraverso continui tentativi (il tipico trial&error, ma in chiave quasi più sperimentale in questo caso) quale sia l’azione necessaria da far compiere al nostro personaggio, pur di attivare la sequenza scriptata che consentirà all’avventura di proseguire. Alcuni di questi enigmi da puzzle game ambientale saranno più semplici ed intuitivi, altri invece piuttosto oscuri o machiavellici, almeno fintanto che non saremo riusciti a entrare in un’ottica particolare. E cioè quella di essere all’interno di una psiche traumatizzata, vivendo l’esperienza di un incubo aggravato da psicosi e problemi di subconscio tipici o meno dell’età infantile. Esseri, giocattoli, ambienti: tutto è fortemente astratto e allo stesso tempo iconografico, spingendoci a una lettura non superficiale di quello che ci circonda, senza per questo mai scadere nella psicanalisi. Il nostro ruolo è più quello di attenti osservatori che di psicologi, in un continuo e affascinante progredire a tentoni, pur di sbloccare il trick mentale che blocca il flusso di gioco.

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