Yurukill: The Calumniation Games: la recensione

Provare la propria innocenza con una pistola alla tempia non è mai un'impresa facile, in Yurukill dovremo farlo superando un sadico Luna Park dove tutto è studiato per ucciderci.

La classificazione in generi nel mondo videoludico è un comodo modo di incasellare un gioco in categorie conosciute, nonché allo stesso tempo di scremare già a monte la platea di videogiocatori possibilmente interessati al titolo. In un mercato caratterizzato da un’offerta così ampia e diversificata come quello attuale va da sé che la “coperta” è per forza di cose sempre troppo corta, dato che il tempo e lo stipendio sono (purtroppo) risorse esauribili. Ed è qui che una bella e rassicurante classificazione in generi ci viene in aiuto. Nippon Ichi Software America irrompe invece in questo scenario con forza dirompente, proponendoci, grazie allo sviluppatore InazagiGames, un titolo che rompe e sorprende travalicando i confini delle categorie a cui siamo abituati. Yurukill: The Calumniation Games è infatti in linea di massima una visual novel investigativa, che tuttavia cerca di dare una ragione razionale all’inserimento di elementi shoot em up a scorrimento verticale. Due generi che all’apparenza non hanno molto da spartire, vediamo se alla prova dei fatti l’alchimia è riuscita o meno.

Yurukill si inserisce in quel filone cinematografico dei survival asiatici, popolato con grandissimo successo da Squid Games, ma anche da Alice in Borderlands e prima ancora da Battle Royale. Vestiamo i panni del giovane Sengoku Shunju, acccusato (a suo dire ingiustamente) di omicidio. Sengoku si risveglia in una cella insieme ad altri sconosciuti, anch’essi all’oscuro della sadica macchinazione che li vedrà protagonisti. Binko è la nostra misteriosa Deus Ex Machina, vestita con un kimono bianco e con il volto celato da una maschera da volpe. Sarà proprio questa bizzarra figura ad introdurci nella macchiavellica macchina di Yurukill. Ogni detenuto è stato abbinato ad un giustiziere a formare 5 coppie che si dovranno sfidare sull’isola di Yurukill, dove è stato creato una sorta di sadico parco giochi a tema. Il rapporto tra detenuto e giustiziere è quanto mai sul filo del rasoio dato che quest’ultimo in ogni momento ha potere di vita e di morte sul detenuto, che invece dovrà, di livello in livello, cercare di convincere il giustiziere della propria innocenza. Per ogni livello sono ben tre le tipologie di gameplay che affronteremo, piuttosto varie e ben architettate. La prima fase è quella dell’indagine classica, se vogliamo l’aspetto più comune ad una visual novel investigativa. Come in un tipico escape game ci sarà una situazione di urgenza dalla quale fuggire ed una serie di stanze da esplorare al fine di trovare la giusta combinazione, piuttosto che una chiave o un enigma ambientale da risolvere.

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Conclusa positivamente questa fase si entra nell’intrigante “Maji-Kill”. Qui entriamo in una dinamica che potrebbe per certi versi ricordare i processi della serie Phoenix Wright. La nostra giustiziera infatti, mai appagata dal nostro comportamento e sempre pronta ad eliminarci dalla faccia della terra, ci sottoporrà ad un vero e proprio interrogatorio, uno stress test composto da quattro domande alle quali dovremo cercare di rispondere nella maniera più soddisfacente. Ad ogni risposta andremo a riempire la barra dell’ira del nostro giustiziere, se la barra raggiungerà il 100%, a causa delle nostre risposte errate, la sentenza verrà inesorabilmente eseguita. L’idea senza dubbio è carina ma la sensazione è che le risposte e le reazioni del giustiziere siano fin troppo scriptate e prevedibili, togliendo quindi un pochino di pathos a questa fase col procedere del gioco.

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