Cult of the Lamb: la recensione

All hail the Lamb! Cioè tutti in ginocchio per idolatrare la pecora divina!

Le parti incentrate sui combattimenti risultano in un sistema di lotta semplice ma efficace, dove la scelta delle armi ha una incidenza rilevante sul tempo di latenza dei colpi da noi rilasciati, ma anche sul danno da loro provocato, mantenendo sempre in mente l’importanza delle schivate degli attacchi nemici nell’economia degli scontri. I nemici saranno sempre più numerosi di noi, lasciando la sfida 1 vs 1 soltanto allo snodo cruciale del boss di fine livello, ma saranno dotati di pattern comportamentali piuttosto basilari per cui sarà semplice, dopo una rapida osservazione, dedurne il momento di attacco, così da pianificare correttamente spostamento e contrattacco. Un altro elemento da tenere sempre presente è l’utilizzo delle mosse speciali da parte nostra, una volta sbloccate, poiché presentano sempre tempi di esecuzione e ricarica piuttosto significativi, per evitarne l’utilizzo incondizionato. Nulla di questa parte del gioco grida al miracolo, ma il tutto risulta al contempo piuttosto gradevole e mai frustrante (quantomeno ai livelli di difficoltà più bassi o comunque normali). Una volta rientrati al campo base, possibilmente dopo aver superato il dungeon e avendo quindi conservato tutto quanto raccolto durante l’esplorazione (sarà infatti possibile sia raccogliere monete, che carte in grado di potenziarci almeno temporaneamente, ma soprattutto risorse da investire e adepti da convertire, durante ogni singola run) sarà il turno della fase gestionale di Cult of the Lamb. In questa area, infatti, potremo accogliere i nuovi accoliti e, sostanzialmente, assegnarli a un compito piuttosto che a un altro, a patto di aver già costruito (investendo le relative risorse necessarie) il relativo centro operativo. Da un lato, sarà possibile inviarli alla raccolta di roccia o legname, necessari per la costruzione di nuovi edifici; dall’altro potremo chiedere loro di venerare la statua con le nostre sembianze, per aumentare la Devozione rivolta alla nostra figura (e ottenere lo sblocco di alcuni poteri speciali); ma il tutto senza mai dimenticarci le specifiche necessità dei vari adepti, tra piatti da cucinare per la loro sopravvivenza, medicamenti necessari alla loro cura e via discorrendo. L’unione di queste due anime del gioco, fortemente interconnesse tra loro visto che l’una sarà necessaria per il potenziamento delle caratteristiche necessarie per progredire con l’altra, porta a presentare un approccio fresco e inusuale, discretamente ben bilanciato e quindi piuttosto convincente, alla ormai classica formula del rogue-lite.

Anche sul versante grafico e tecnico Cult of the Lamb porta avanti un’anima contraddittoria: se l’accostamento audace e straniante tra l’estetica tenera ed adorabile e il contenuto sadico e malefico della messa in scena finisce per incuriosire prima e affascinare poi, non altrettanto possiamo dire della dicotomia tra la semplicità del quadro complessivo e la zoppia della performance su Switch. Artisticamente, il titolo brilla: con quello che potremmo definire il marchio di fabbrica reso famoso da cartoni animati americani come Steven Universe o Adventure Time, la resa di personaggi e situazioni è davvero ottimale, soprattutto grazie all’espressività e alle tenerezza di molti dei protagonisti. Allo stesso tempo, questa loro predisposizione alla commozione genera ancor più stupore nel fruitore nel momento in cui i protagonisti si tramutano in masochisti alla ricerca del dolore, a sofferenti che supplicano per porre fine al loro male, a squartamenti e rituali macabri e chi più ne ha più ne metta. Affascinante osservare l’espressione ingenua e dolce del nostro protagonista mentre, senza farsi notare dai propri adepti, seziona il cadavere di un defunto per offrirlo come cibo ai commensali della colonia nel pasto del giorno dopo, per mancanza di altre risorse di sostentamento. Il fatto invece che il gioco, nella versione per l’hardware ibrido di Nintendo, presenti bug, freeze o sporadici rallentamenti è meno affascinante, soprattutto considerando la semplicità della messa in scena dal punto di vista grafico, espressa da Cult of the Lamb. Se poi pensate che i tempi di caricamento non sono certo tra i più rapidi del mondo, il tutto risulta a volte ancor più frustrante, dovendo magari ricominciare un livello o ricaricare un salvataggio a causa di un problema tecnico. Nulla che possa impedire alla qualità del titolo di intrattenervi e, a tratti, anche appassionarvi, ma senza dubbio ci auguriamo che gli sviluppatori si prendano a cuore questa versione e, nel giro di poche settimane, presentino delle patch migliorative, per poter godere appieno di un’opera senza dubbio ricca di spunti interessanti.

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La recensione

7 Il voto

Cult of the Lamb saprà convertire numerose anime videloudiche alla sua causa, complice l'interpretazione originale e ben riuscita delle classiche dinamiche rogue-lite in una veste fresca e ben pianificata. Le performance su Switch lasciano però il segno come le stigmate sulle mani di noi player: sperando in patch migliorative, premiamo il gioco con un voto che speriamo possa salire e migliorare nel corso delle prossime settimane

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