Yomawari Lost in the Dark: la recensione

Risvegliarsi in un'oscura città privati di ricordi e memoria non è mai piacevole...soprattutto se le strade sono infestate tanto dai nostri incubi quanto da mostri veri e propri!

Il gioco alterna fasi in esterna a un numero minore di aree in interni, molto importanti perché in pratica equiparabili al concetto di dungeon e spesso contenenti, oltre a boss intesi come avversari particolarmente efficaci nell’identificarci e inesorabili nell’inseguirci (combattimenti infatti non ne esistono, in questa notte da incubo dove saremo sempre e comunque del tutto inerti, davanti a una sfida), anche la maggior parte dei nostri ricordi, vero obiettivi di gioco, necessari per proseguire nella narrazione principale. Queste aree appaiono sempre ben studiate, soprattutto a livello di atmosfera, con una sensazione di claustrofobica trappola capace di mantenere sempre alta la pressione sul giocatore, spingendolo a un grado di allerta davvero intrigante. Peccato che troppo spesso però ci ritroveremo giocoforza a dover ripetere tutte le fasi dei vari enigmi già superati, a fronte di una cattura e del conseguente game over, come se non fossimo già passati da una certa stanza o non avessimo già risolto alcune delle interazioni ambientali necessarie per sbloccare il livello stesso. Una gestione non del tutto ottimale delle fatiche e delle tensioni del giocatore, in un titolo dove l’errore fa parte della natura stessa dell’esperienza, ma la frustrazione difficilmente riesce ad agire come un propellente per la voglia e la curiosità di proseguire. Un difetto piuttosto seccante, come quello della gestione approssimativa della mappa di gioco nelle fasi di esplorazione in esterna, molto poco leggibile e user friendly, agendo in maniera sempre approssimativa e parziale, nonostante i progressi fatti nello scoprire gradualmente le diverse zone della città. Insomma, diciamo che da un certo punto di vista gli sviluppatori hanno calcato un po’ troppo la mano sul senso di oppressione che avremmo preferito venisse trasmesso esclusivamente da elementi intra diegetici e non da decisioni di game design così poco al passo coi tempi.

Il versante tecnico è semplice, vista l’impostazione puramente 2D con visuale isometrica su un mondo di gioco composto da aree piccole e senza dubbio non ambiziose. Ma l’approccio non intricato o dispendioso non si traduce in un pacchetto minimalista, anzi: molti aspetti sono ben curati, in Yomawari: Lost in the Dark, a partire dagli elementi sonori. All’interno delle dinamiche prettamente ludiche, un ruolo centrale come abbiamo visto è svolto proprio dall’estrema necessità di vagliare gli indizi audio, tanto da suggerire fortemente la fruibilità in modalità portatile, tramite cuffie; questi aspetti di interazione uditiva ambientale sono davvero ben realizzati, con un enorme senso di immersione, in grado di coinvolgere e sconvolgere i nervi del giocatore a ogni sussurro o lamento. Peccato che la colonna sonora, altrettanto curata e d’atmosfera, sia però piuttosto limitata e ripetitiva, andando un po’ a spezzare quel senso di meraviglia altrimenti proposto dal gioco sotto questo punto di vista. Assolutamente particolare e ben congegnata poi tutta la direzione artistica, anche visiva, del gioco, seppur vada ammesso come le animazioni (legate soprattutto alle apparizioni e ai movimenti di alcune delle creature che popolano o infestano queste aree) risultino a volte un po’ raffazzonate. Se poco senso ha parlare in produzioni di questa caratura di frame rate e risoluzione, confermiamo invece tempi di caricamento gestibili, durante le fasi di gioco, ma piuttosto significativi invece per avviare l’avventura, anche dopo un salvataggio. Nel complesso, un titolo che conosce i propri limiti, puntando tutto sullo stile, con ottimi risultati.

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La recensione

7 Il voto

Splendide atmosfere, esaltate dal contrasto tra la delicatezza dei protagonisti e l'inquietudine delle situazioni di gioco, da elementi visivi e sonori sapientemente dosati per soffiare sul collo del giocatore l'alito tenebroso dei mostri che infestano questo lugubre universo diegetico, costituiscono un'ottima offerta per gli amanti dei thriller, a patto di scendere a compromessi con alcune ristrettezze logiche nella struttura di fruibilità del prodotto.

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