Paper Cut Mansion: la recensione

Entra nella magione di carta e fatti strada tra enigmi e nemici, sfidando tanto le avversità quanto i tuoi stessi limiti

Il maggior pregio derivante dal successo del panorama indipendente è l’enorme libertà espressiva lasciata in mano agli sviluppatori. Non finiremo mai, come redazione, di tessere le lodi delle conseguenze estremamente positive che una serie di fattori come gli store digitali, la diffusione dei tool di middleware e l’esposizione mediatica offerta dai social hanno avuto per il consumatore finale nel corso quantomeno dell’ultimo lustro. Un insieme di concause che hanno contribuito a garantire dapprima la sopravvivenza e poi addirittura il successo di una vastità di produzioni contrassegnate dall’enorme varietà di soluzioni stilistiche, ingegni strutturali e, nel complesso, visioni artistiche in alcuni casi persino individuali. L’eShop di Switch è ancora oggi forse il punto più alto di incontro tra queste espressioni stilistiche e il potenziale del loro successo commerciale e, difatti, continua a ricevere dozzine di nuove interessanti uscite ogni settimana: tra questi, annoveriamo anche il recente Paper Cut Mansion, prodotto capace di riassumere diversi di quei crismi libertari sopra descritti.

Immaginate ora un cortometraggio di Tim Burton, dove un pupazzo fatto di ritagli di carta e pezzi di cartoncino, alla guida di un’auto costruita dei medesimi materiali, arrivi nei pressi di una misteriosa magione, anch’essa cartacea, lungo strade e sentieri disegnati e ritagliati. Il tutto accompagnato da una colonna sonora chiaramente ispirata alle sue opere cinematografiche più famose, con quello stile orchestrato ma gotico, quei cori accompagnati da pianoforte e fiati, lungo note al contempo macabre e festose assieme. Questo sarà il benvenuto che l’autore ha immaginato per accogliervi nel mondo di gioco, fino a che non sarete entrati nella prima delle tante stanze che compongono la casa di carta, protagonista del titolo, nonché dell’opera. Un modo affascinante per introdurvi nel contesto diegetico, tanto sotto il profilo narrativo quanto dal punto di vista narrativo, con l’avatar pronto ad affrontare un’intera villa fatta di misteri e rompicapi, con uno stile al contempo scanzonato ma anche disturbante.

A livello ludico il titolo è una sorta di adventure con svariate sessioni ad enigmi ambientali: ogni stanza appare con visuale isometrica, tre quarti dall’alto, con possibilità di gestione e rotazione della telecamera per meglio indagare l’area in questione, come fosse ogni volta un piccolo, nuovo diorama. In ciascuna zona potrebbero esserci NPC con cui parlare, oggetti con cui interagire, piccoli indizi sparsi da raccogliere e di cui prendere nota ed i veri e propri snodi d’interazione, coi quali sarà obbligatorio interfacciarsi per sbloccare il percorso e proseguire verso la stanza successiva. Nella prima stanza, che assieme ad alcune altre poste durante le fasi iniziali del gioco funge in pratica da tutorial, dopo aver scambiato poche ma chiarificatrici parole con un altro pupazzo cartaceo e aver recuperato facilmente una password, dovrete selezionare il lucchetto a combinazione alfanumerica della porta, per poterla aprire e avanzare nell’area immediatamente successiva (cioè un’altra stanza di questa strana e bizzarra magione). L’infarinatura del gioco è sostanzialmente questa, fatto salvo per una curva di difficoltà che vi metterà di volta in volta davanti a necessità esplorative degli ambienti sempre meno lineari e banali, nonché a rompicapo gradualmente più complessi. Purtroppo, non sempre chiarissimi (anzi a tratti persino ottusi) e troppo poco spesso legati agli aspetti cartacei che il titolo faceva presupporre dal titolo.

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