Xbox Series S: Resident Evil 4 Remake: la recensione

Si torna a vestire i panni di Leon s. Kennedy, come ai tempi del GameCube

THE OUTER WORLD – Benvenuti a un nuovo appuntamento dedicato alla nostra rubrica intitolata “The Outer World”, una finestra nuova per Switchitalia, con vista sui mondi videoludici che si espandono fuori dalle consuete e familiari mura dell’universo Nintendo. Se volete più dettagli sulla nostra iniziativa, vi rimandiamo all’articolo introduttivo con cui ve la presentiamo, sospinti dalla curiosità esplorativa tipica degli amanti dei videogiochi. Oggi è il turno di un capolavoro molto caro proprio agli amanti delle console Nintendo, per quanto riammodernato ai moderni canoni tecnologici di XBox Series S.

Quanta storia attorno a Resident Evil 4 e Nintendo, andando indietro nel tempo fino all’epoca (per alcuni d’oro) del GameCube: console che cercava di invertire la tendenza dominatrice di PlayStation in ambito home entertainment, puntando tanto su un intrattenimento più maturo del solito in casa Nintendo e su inusuali accordi con diverse terze parti, per proporre un’immagine di sé seriosa, potente e adatta anche ai gusti più esigenti sotto il profilo puramente tecnico. A simboleggiare questa strategia ci sono stati ai tempi soprattutto due filoni: quello della collaborazione interna con i Retro Studios e quella invece esterna con Capcom. Apice dell’una è stato Metroid Prime; emblema dell’altra si è invece eretto proprio il quarto ed inedito episodio della famosa saga survival horror giapponese. Curioso che entrambi i progetti siano stati riproposti, tirati a lucido per il pubblico contemporaneo, a pochi giorni di distanza: si vede che è destino ripercorrere le orme dell’ultima console da casa tradizionale made in Nintendo attraverso questi capolavori, proprio nei giorni del sesto anniversario della Switch. In quel frangente storico le due case giapponesi strinsero un accordo davvero importante, per sviluppare in esclusiva per il piccolo e compatto hardware cubico tutta una serie di progetti in esclusiva, di cui diversi incentrati proprio sul brand del terrore conosciuto in terra nipponica sotto il marchio di Biohazard: un prequel ufficiale, seppur sperimentale (Resident Evil 0), un remake che settò gli standard per questo tipo di produzioni (Resident Evil Remake) e addirittura il quarto capitolo principale della saga, oggetto della nostra recensione odierna, per quanto in chiave ultra contemporanea. Lo sposalizio durò poco, a causa delle difficoltà commerciali della console, convincendo Capcom a snellire il supporto, cancellando uno dei progetti precedentemente previsti, ma soprattutto decidendo di portare i vari titoli sviluppati anche su altri hardware di maggior successo, senza per questo però privare i possessori di GameCube di uno dei migliori periodi per la saga Biohazard.

Se da un lato infatti il prequel seppe introdurre personaggi e location iconiche, nonché un certo dinamismo strategico nell’alternanza dei due protagonisti, il rifacimento entrò semplicemente nella storia, prendendo spunto da un caposaldo del genere, ma in realtà dell’industria tutta, e migliorandone ogni aspetto, dall’impatto grafico al livello di tensione delle scelte registiche, passando per nuovi e terrificanti contenuti. Un trattamento rispettoso dell’elevata qualità del titolo originale unito all’eccellenza tecnica e stilistica di un team capitanato nientemeno che dallo stesso Mikami, padre della saga e principale promotore del supporto inizialmente esclusivo verso Nintendo. Dopodiché arrivò Resident Evil 4, e niente fu più lo stesso. Il quarto capitolo di Biohazard rivoluziona il brand, passando da inquadrature fisse a una tecamera dinamica, posizionata alle spalle dell’avatar, a mezza altezza. Se i fondali pre-renderizzati erano già stati abbandonati in Code: Veronica, appannaggio di ambientazioni poligonali, con una certa perdita di risoluzione e dettaglio ma con un netto incremento qualitativo e real-time tanto al sistema di illuminazione quanto all’interattività del mondo di gioco rispetto al personaggio controllato dal fruitore, con l’episodio per GameCube il balzo è tanto tecnico quanto concettuale, nei confronti del passato. Il nuovo punto di vista porta con sé un rinnovato senso di immersione all’interno delle inquietanti location ideate dai programmatori, nonché un “sense of wonder” dato dalla qualità complessiva offerta dalla gestione totalmente libera ma estremamente precisa della telecamera, e dal conseguente stupore nel poter assaporare in maniera non guidata l’esplorazione di tali ambienti ultra dettagliati. Inoltre, chi all’epoca temeva una drastica riduzione di tensione dovuta all’assenza di una composizione registica strutturata e studiata a tavolino, perno centrale dell’esperienza studiata da Mikami nei precedenti episodi, con tanto di tecniche cinematografiche applicate al medium videoludico, dovette ricredersi, pad alla mano, perché il quarto capitolo cambia approccio e ritmo, ma solo parzialmente atmosfere, grazie alla sapiente guida del medesimo game designer: se infatti le varianti introdotte in ambito di punto di vista e inquadratura rischiavano di eliminare la paura dell’elemento sconosciuto, l’aggressività della nuova tipologia di avversari (passati dai lenti seppur inesorabili zombi ai più dotati ganados) compensa in gran parte l’elemento di precarietà, soprattutto per i più esperti amanti del genere e della serie, sorpresi a ogni piè sospinto dal netto cambiamento di ritmo, ora nettamente più frenetico e adrenalinico, mantenendo il livello di tensione sempre alto ed engaging. C’è forse più attenzione che ansia, un maggior senso di precarietà dovuto ai rifornimenti e alle risorse, piuttosto che al singolo scontro armato, meno necessità di pianificazione dell’esplorazione ambientale e più l’obbligo di organizzare spedizioni di pulizia ed eliminazione dei nemici, per procedere solo in un secondo momento alla investigazione dei dettagli di ogni luogo. Nell’insieme il titolo compie uno stravolgimento completo, totale ed assoluto della forma mentis attraverso la quale il fruitore deve affrontare l’avventura: non più una passiva regressione dallo scontro, cercando di evitarlo laddove possibile, ma una attiva proattività nella gestione della oculata e pianificata aggressione del nemico.

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Al di là dell’inquadratura, nonché del livello grafico raggiunto per l’epoca mettendo in scena ambientazioni così ricche, complesse ma ampiamente esplorabili e interattive, il titolo seppe anche rivoluzionare il gameplay dei giochi di azione con impostazione non in prima persona né incasellati lungo un binario di scorrimento predefinito. La maestria di Mikami, infatti, seppe esprimersi appieno proprio nell’identificare un nuovo punto di equilibrio tra la tensione di un survival horror e l’esplorazione di un gioco di avventura, sapientemente legati a doppia mandata ad elementi tanto di sparo quanto di scontro corpo a corpo che, in pratica, ridefinirono ben più di un singolo genere. Tanto di questo enorme risultato fu dovuto allo splendido lavoro di cesello fatto attorno al sistema di controllo, semplicemente rivoluzionario per il 2005 e così profondo da risultare poi punto di partenza per l’industria tutta, da allora sino a oggi: i controlli, infatti, erano da un lato quanto di più adrenalinico ci fosse all’ora, con un livello di immedesimazione molto alto, unito a una splendida frenesia del risultato finale in termini di concitazione, ma dall’altro anche non totalmente liberi da inerzia e tempi di latenza piuttosto realistici, che non facevano del protagonista un eroe dotato di super poteri che, uno contro cento, potesse liberamente attraversare le orde di nemici con totale noncuranza, bensì spingevano il giocatore a mantenersi oculato nelle scelte di quali e quanti colpi esplodere, analizzando postura e tipologia dei nemici da un lato, posizione e contesto ambientale dall’altro. Forse per la prima volta, sicuramente con tanta qualità e arricchito da tali valori di produzione, era possibile spostare con precisione il mirino per colpire le ginocchia del nemico, facendolo cadere, o mirare al candelotto di dinamite in suo possesso per scatenare un’esplosione; esplosione che era possibile realizzare anche colpendo alcuni elementi sparsi per lo scenario, senza contare la necessità di fermare la parabole di un’accetta lanciata verso di noi, colpendola a mezz’aria. Insomma, le possibilità dinamiche legate alle nostre armi da fuoco erano semplicemente sbalorditive, per l’epoca, così come il loro essere legate ed alternate alla possibilità di assestare colpi ravvicinati, attraverso un’altra variante studiata dal team di sviluppo: le offensive corpo a corpo. Figlie evolute dei già esistenti quick time event, queste mosse andavano ad aggiungere frenesia al ritmo di gioco, ma anche una notevole dinamica strategica, visto che non erano scriptati, ma derivanti dall’approccio scelto dal giocatore alle fasi di scontro. Mirare alla testa, alle armi oppure agli arti inferiori dei ganados era una libera scelta del fruitore, sapendo che nel momento in cui un colpo ben assestato al ginocchio (per quanto più rischioso, poiché necessitava più tempo per poter essere calibrato e, quindi, esponeva l’avatar a un maggior rischio di essere raggiunto e aggredito dall’orda di avversari) poteva far scattare la possibilità di avvicinarsi al mostro traballante e assestargli un potete attacco fisico. Oltre ad arrecare un discreto danno, questa possibilità offriva diversi vantaggi: far perdere l’equilibrio anche ad altri nemici nelle vicinanze, colpiti dal corpo del proprio compagno; atterrare il nemico per finirlo con il coltello, risparmiando munizioni per la pistola; o ancora creare un pertugio tra il muro di avversari, per potersi dare alla fuga. Insomma, anche sotto il versante puramente legato alle dinamiche di lotta, Resident Evil 4 già all’epoca segnava un’era, settando nuovi standard: da allora, riprendendo in mano l’opera originale si possono avvertire gli anni passati che, nel corso dei decenni, hanno saputo presentare sul mercato versioni migliorate, più fluide e dinamiche, di questo sistema di controllo, ma l’idea iniziale e la maestria con cui fu resa anche e proprio per non sconfinare nell’action più puro, mantenendosi legati alle origini survival del brand, restano una pietra miliare dell’industria nel suo complesso (cosa valida, ironia della sorte, anche per il sistema di controllo di Metroid Prime sempre per GameCube: forse oggi superato, ma punto di riferimento rivoluzionario, al quale guardare per continuare lungo un netto percorso di evoluzione, da allora in avanti).

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