Beautiful Desolation: la recensione

Un'avventura d'altri tempi ci proietta in un tempo invece ancora di là da venire, tra tecnologia e miseria, passato e futuro, in un continuo rimando di dimensioni e quesiti

Città del Capo, Sud Africa: 1976. Viaggiando in auto lungo le strade della città, all’improvviso la nostra vita viene sconvolta, per sempre, insieme a quella dell’intero pianeta. Un oggetto di dimensioni spropositate precipita al suolo, proveniente dallo spazio esterno, devastando tutto e generando un’onda d’urto capace di seminare caos e distruzione ovunque. “Fade out”, e ci risvegliamo anni dopo, sempre nella parte meridionale dell’immenso continente africano, ma ogni cosa è ormai cambiata: il Penrose (questo il nome del monolite gargantuesco conficcato al centro della città) ha spaccato in due l’umanità, gettandola in una distopica realtà dove l’enorme avanzamento tecnologico concesso dalle scoperte effettuate su di esso hanno acuito le differenze sociali, gettando il mondo in un’eterna guerra civile tra la dittatura degli entusiasti del progresso e gli avversi al cambiamento. Il “nuovo popolo”, capace di trovare una commistione tra vita biologica e tecnologica, e la vecchia umanità, il tutto all’interno di uno scenario fatto di miseria e desolazione. Uno scenario dove il protagonista vuole vederci chiaro e, per questo, chiede aiuto a suo fratello per recarsi al centro di tutto, su quel monolite alieno che tanti segreti di sicuro ancora nasconde.

Questo lo scenario narrativo che fa da cornice a Beautiful Desolation, un’avventura esplorativa con visuale isometrica, disponibile ora anche su Nintendo Switch. Un titolo davvero intrigante, dove l’universo diegetico immaginato dalle menti creative degli sviluppatori è il vero e proprio fulcro dell’esperienza di gioco, che prende corpo in dinamiche interattive molto classiche che, forse, finiscono persino per apparire un po’ vetuste. Ma chi sarà in grado di superare lo scoglio di una impostazione ludica piuttosto rigida, saprà trovare sotto la superficie un racconto coinvolgente, dove sia i personaggi che gli scenari si fanno portati di un grande carico di significati. La Città del Capo reinterpretata sia in ottica post apocalittica che in termini di dimensioni parallele alla nostra, seppur distopica, realtà saprà mettere in scena infatti tutta una serie di ambientazioni a dir poco mozzafiato, curate nei minimi particolari attraverso una maniacale cura della coerenza diegetica, dotata di una personalità ben distinta. L’esplorazione, che come vedremo pecca sotto il profilo della trasparenza comunicativa, verrà sospinta proprio dal piacere della scoperta di nuovi scorci e nuove location, capaci di soddisfare l’occhio (grazie all’ottima direzione estetica) ma anche la mente (poiché tutto, in Beautiful Desolation, si fa portatore di significato).

Beautiful Desolation, Recensione: fuga da un Sudafrica post-apocalittico ~  Pokémon Millennium

Purtroppo il vagare per queste terre desolate ma affascinanti potrebbe però divenire meno entusiasmante man mano che il titolo svelerà le sue lacune prettamente strutturali, sotto il profilo ludico. Da un lato, la produzione si presenta volontariamente come un’avventura quasi punta & clicca d’altri tempi, insistendo molto sulla necessità di indagare i più piccoli dettagli degli ambienti di gioco per ritrovare oggetti o punti interattivi, capaci di aprire le finestre di dialogo tra personaggi o di attivare il menu di gestione dell’inventario: entrambi elementi fondanti dell’esperienza di gioco, laddove per proseguire sarà necessario riuscire a scoprire i passaggi logici immaginati dagli sviluppatori nell’attivare determinate sequenze di confronto tra personaggi e ambiente, evidenziando alcuni suggerimenti nascosti tra le parole degli NPC piuttosto che combinando due o più oggetti del nostro equipaggiamento per attivare la successiva fase di gioco. Purtroppo, dobbiamo ammettere con dispiacere però che tali dinamiche, di per sé probabilmente comunque poco avvezze alle odierne tendenze videoludiche, soffrono anche di una gestione poco oculata dall’interfaccia utente, sia sotto il profilo grafico che logico. Se infatti i menu non risultano propriamente intuitivi, ancor più frustrante risulta riuscire a scovare gli indizi sparsi nel mondo di gioco: vuoi per la vastità di alcuni ambienti, che rendono complesso portare il proprio avatar nelle immediate vicinanze di un punto specifico, spesso non segnalato in alcun modo come interattivo; vuoi per l’eccessivo ermetismo di alcuni passaggi nelle parole degli esseri che popolano queste lande desolate, che definire criptici è già un complimento.

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