The Outer Worlds: la recensione

Una distopia totalitaria può essere divertente? Secondo Obsidian, sì!

Un altro aspetto pienamente riuscito in questa opera è sempre legato alla costruzione del contesto narrativo, questa volta per quanto concerne il vero e proprio mondo di gioco messo in scena da Obsidian. Grande è infatti l’ispirazione contenutistica spesa nel ricreare ambienti variegati e fantasiosi, sia per quanto riguarda la fauna che sotto il profilo della flora, ma comunque verosimili o quantomeno coerenti nei loro componenti fondanti e fondamentali. Alberi, arbusti, cespugli, paludi, montagne, canyon e chi più ne ha più ne metta, studiati a fondo in modo da risultare al contempo familiari ed estranei, mantenendone degli stilemi strutturali rispetto a quanto presente sulla nostra amata Terra, ma variandone dei particolari così da creare qualcosa al contempo di conosciuto e sconosciuto, ovvio eppur diverso. Lo stesso dicasi sotto il profilo degli animali, reinterpretati in chiave ancor più immaginifica, ma soprattutto studiati anche per quanto concerne comportamento e pattern di vita, tanto da risultare spesso davvero affascinanti, inseriti nel loro habitat e dotati di una grande coerenza interattiva, sia con noi (avatar elemento alieno, nel loro ecosistema) che con le altre forme di vita presenti sulla superficie del pianeta. Insomma, le aree di gioco sono molto ampie e largamente esplorabili, ma a renderle davvero interessanti sono i loro contenuti e le loro strutture, più che una vuota e vacua vastità: qualità prima della quantità, pur risultando il tutto anche piuttosto longevo.

Sotto il profilo prettamente ludico, The Outer Worlds si presenta come un titolo di esplorazione e combattimento in prima persona (difficile definirlo puramente uno sparatutto, ma di certo è altrettanto lontano dalla definizione di “first person adventure” che, a conti fatti, oggi sembra calzare a pennello ancora soltanto per Metroid Prime e Bioshock), in cui potremo determinare prima ancora di cominciare le principali caratteristiche del nostro avatar personalizzato (prediligendo attacchi dalla distanza piuttosto che corpo a corpo; forza piuttosto che intelligenza; destrezza a discapito dell’agilità e così discorrendo), anche se a dirla tutta la forbice di diversificazione declinata nelle fasi di gioco vero e proprio non emerge in maniera così chiara e definita. Una volta entrati nel vivo dell’avventura, l’alternanza tra esplorazione, dialoghi, combattimento, crescita di livello e miglioramento delle caratteristiche del nostro personaggio seguirà un ritmo poco originale e, a tratti, anche un po’ stantio. L’esperienza saprà ravvivarsi in più di un’occasione, grazie a squarci narrativi espliciti o impliciti capaci di strappare più di un sorriso, ma il puro gameplay non sembra essere l’elemento più brillante dell’opera in questione. Così come brillante non è il comparto tecnico, pur avendo fatto passi avanti piuttosto significativi rispetto all’inizio: il frame rate ora è assai più stabile, pur balbettando ancora in alcune fasi di gioco; la definizione dell’immagine è ancora piuttosto impastata; la mole poligonale, il fogliame e la ricchezza degli ambienti notevolmente al di sotto delle versioni sviluppate su hardware più performanti. Eppure, il gioco ad oggi è ampiamente giocabile, senza dubbio affascinante nell’essere fruito in tutta la sua ampia vastità anche in modalità portatile, ovunque si voglia, senza contare come (a patto di giocare un po’ con i parametri molto personalizzabili del sistema di controllo) il tutto risulti più che godibile tramite l’utilizzo dei JoyCon, grazie al mix tra sensori di movimento e doppie leve analogiche.

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La recensione

7 Il voto

Quando Fallout si veste da Mass Effect, indossando i panni dell'autarchia utopica di Bioshock, ecco che potrebbe nascere un mattone degno della corazzata Potëmkin. E invece in Obsidian condiscono il tutto con un pizzico di ironia, come se i baffetti non fossero quelli di Hitler ma di Groucho Marx, riuscendo a far sorridere, con un divertimento impegnato.

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